chi sentiamo di essere
AWARE è un collettivo per la trasformazione culturale: promuoviamo l’inclusione e la pluralità attraverso contronarrazione e progettazione condivisa di nuovi modi di relazionarsi, lavorare, divertirsi, vivere. Lì dove c’è intersezionalità, abita il nostro attivismo.
AWARE in inglese significa essere consapevoli, in giapponese significa partecipare alla bellezza sfuggente delle cose, una bellezza orizzontale capace di rigenerarsi attraverso l’incontro e l’esperienza.
Per questo scegliamo di essere rappresentatə da più voci, piuttosto che da una dichiarazione statica.
Siamo il riflesso della società che vogliamo e della lotta gentile che portiamo avanti per costruirla. Un’utopia collettiva di bellezza resistente.
le nostre voci
Di seguito riportiamo alcune delle voci di chi ha sempre appoggiato AWARE – Bellezza Resistente, dedicando tempo ed energie per costruire un’utopia collettiva di bellezza resistente.
In queste sillabe è riassunto il vocabolario del nostro attivismo. In queste parole sono delineati i valori che ci accomunano come persone e grovigli di idee in evoluzione, che aspettano di essere modellati da chiunque ne avverta la vicinanza.
“Uno spazio aperto e libero. Dove accogliere è il modo naturale di incontrare. Dove si ascolta e si dà voce. Dove ti viene da ballare anche se pensi di non saperlo fare. Perché non c’è giudizio, ma rispetto. Perché trovi curiosità per la tua storia. Perché c’è un po’ quel di tutto che fa sentire insieme”.
“Credere nell’orizzontalità significa lasciare aperte le porte all’eventualità, al disordine caotico della novità, alle possibilità sconosciute che sgorgano dall’incontro. Con Aware vogliamo dare un volto a questo sentimento di curiosità verso l’evenienza che non conosciamo. Siamo uno spazio in cui affondare radici aspettando che nuovi semi si facciano intreccio”.
“Una forza che ha la sensibilità e il desiderio di entrare in contatto in modi diversi con l’alterità”.
“La casa non è un luogo fisico, è il posto dove stiamo bene. E allora ci sono tante case, e le case diventano anche persone e situazioni, a volte sono addirittura dei pixel. Io ho bisogno di questa accoglienza, di un posto dove tornare. Questo per me è Aware: sapere di essere accettatə e imparare ogni giorno ad accettare (e fare spazio per chi arriva)”.
“C’è meraviglia nella conoscenza. Io volevo conoscere, per conoscere dovevo fare. Ho iniziato a fare da sola, iniziando con dei timidi ‘ciao’. Aprirsi verso l’altrə è la cosa più coraggiosa da fare, che poi significa nient’altro che conoscere sé stessə. Non avere mai paura, apri e accogli!”.
“Capita di leggere la lista dei to-do e prendersi un po’ a male. Poi di iniziare e ritrovarsi appassionata e passionale. E quindi c’è valore in quella mail da scrivere, riflessione in quel parere dato, amore in quella cosa che potevi metterci metà del tempo ma ti andava così, di dedicarcelo quel tempo. Rivedi le caselle, sbarrate o meno, e ti pare costruiscano qualcosa e vuoi solo continuare a metter bene bene i mattoncini”.
“Tutto ciò che nasce come subcultura segue una predetta traiettoria che va dalla rivolta popolare all’accettazione di massa. Si tratta di capire il processo di democratizzazione per fare in modo che non ci sia dispersione; bisogna non abbandonare il progetto originario e direzionare l’agire in piccoli laboratori, usando uno sguardo che destrutturi l’esistente: ripartire dal quasi niente, dove la povertà è conoscere le cose per necessità. Con lo stesso sapore popolare e sincero dei mercati di strada, vogliamo un attivismo ridisegnato nel suo essere profondamente umano e primitivo”.
“L’etica è quel qualcosa che fa andare avanti il mondo, che ci spinge ad aiutare e allo stare insieme, tra tutti gli esseri viventi. La vita ha bisogno di essere etica, e nel mio esistere non può esserci altro modo che andare sempre verso quell’altro, vivere dal basso, essere insieme nella battaglia”.
“La nostra sfida sta nel far diventare popolare quanto è ancora percepito come nicchia. Vogliamo far evaporare i confini elitari dell’attivismo per trasformarli in quotidianità per tuttə. Femminismi, salute mentale, politica dell’accoglienza, coscienza ecologica…sono tutte tematiche che ci coinvolgono come essere viventi e in quanto tali vanno rese universali”.
“Aware è quello spazio dove sentirsi abbracciati senza vedere il volto di chi ci abbraccia, dove sentirsi capiti senza sapere la storia di chi ci capisce, dove scoprire un orizzonte comune lì dove sembrava esserci un confine. In questo spazio diamo forma ad un sentimento di “collettività” capace di legare i corpi e le idee frantumandone la distanza”.
“Alberi e piante esprimono un tipo di forza diversa: espandendosi in rami, radici e foglie arrivano fin dove possono, né più né meno, il giusto limite mirato alla sopravvivenza ma anche a star bene con ciò che li circonda. Senza radici non c’è espansione, accrescimento, possibilità: le radici sono forza propulsiva che collega dentro/fuori e alto/basso in forze circolari.
Nell’immaginario comune radici e radicamento rappresentano qualcosa che ci blocca e ci ferma. Questo perché immaginiamo alberi e piante come creature ferme. Invece le radici sono intelligenti, mobili, esplorano e fanno relazione col terreno circostante. Noi viviamo di radici”.
“Il massimo dell’autonomia, non solo dell’individuo ma di una proposta alternativa si ottiene quando si sceglie di intrecciarsi con altri. Mossi da un’idea progettuale condivisa, da una necessità di ibridazione tra diverse modalità espressive si fa cultura. Si vuole parlare di verità. Si può dare fiducia a chi ascolta. Vogliamo fare domande”.
“Inverno di un paio d’anni fa. Giornata di festa e letture nel casolare sgangherato di Passolanciano. Con lo scoppiettio del fuoco in sottofondo a rintuzzare un silenzio denso, Nicolò legge un suo scritto tratto dall’esperienza boliviana appena terminata. Persi nelle parole raccolte tra le pieghe di una terra lontana avvertiamo di sentirci indissolubilmente legatə a quella stessa nostalgia. Viviamo un sentimento che apparentemente non ci appartiene ed eppure è nostro”.
Appassionata di studi di genere e queer, diritti civili e comunicazione, si avvicina al femminismo intersezionale e comprende lo slogan sentito tanto tempo prima “il personale è politico”. Sfacciatamente nerd e divoratrice insaziabile di libri, scrive anche di Serie TV e teatro.
Dopo qualche anno nella luce patinata degli studi legali, ripiega l’abito in armadio per dedicarsi alla difesa dei diritti di chi non ne ha in Sud America e Centro Africa. Attivista e sognatore, chitarrista da falò, è un fan svergognato delle pizze rustiche vegan e dei murales nascosti nelle periferie delle città.
Dopo aver passato anni in giro per il mondo e poi chiuso a chiave dentro ad un “cassetto”, si è aggrappato all’arte come ci si aggrappa ad una zattera in mezzo ad un oceano in tempesta. Il viaggio di ritorno è appena cominciato.
Studentessa di graphic design a Milano, si sente di appartenere a Genova da quando l’ha lasciata. I paesaggi romantici-e-punk e i vicoli trasandati ma ricchi di storie sono il suo biglietto da visita. Non è brava con le abitudini e la routine: quando passa troppo tempo ferma deve partire per inseguire concerti, amori, nuove visioni.
Si occupa di sicurezza sul lavoro e ambiente, organizza eventi da sempre, prima con gli amici, poi passa alle associazioni, nel frattempo coltiva la passione per la musica e suona il basso in diversi progetti. Ama le cose concrete e coerenti, per sopravvivere punta su una mirabolante flessibilità.
Ha studiato drammaturgia a Londra e poi è tornata in Italia, perché aveva troppa nostalgia. Scrive le mattine, insegna inglese ai bambini il pomeriggio, nelle pause cammina in montagna e prova a documentarsi e a fare qualcosa per la crisi climatica. Ha spesso l’ansia, e per tante cose diverse, per questo ha scrive un blog apposta, pandipanico.
Non fissa quadri pretendendo di conoscerne lo stile di pittura, ritiene ‘arte’ l’energia vitale che scaturisce dalle più varie espressioni umane. Ci prova anche lui, ogni tanto, a produrre arte ma perlopiù cerca di condividerla scrivendo e raccontando ogni virgola che rende la vita bellezza.
Studentessa di management turistico, lavorando a contatto con la realtà musicale milanese capisce che la musica è la sua linfa vitale. Ama il contatto diretto con qualsiasi tipo di ambientazione naturale; adora la frutta estiva; spera che l’umanità si renda conto di essere in dovere verso il pianeta, lasciandolo un posto migliore di come lo ha trovato.
Per esteso Maria Cristina, tutti la conoscono come Tina. Front-girl del gruppo ‘Hate Moss’, è anche co-fondatrice di ‘Stock-a Production’ collettivo nato per aiutare artisti emergenti a trovare spazio nel panorama della musica internazionale attraverso distribuzione digitale e booking. Sui canali di Aware cura le Stock-a Chat, rubrica di interviste con artisti e professionisti internazionali.