Il panico e le bolle

È come se, grattando le bolle, cercassi di grattare via tutto quanto. Grattare via le bolle per grattare via lo stress che non sento di avere

Ci sono dei giorni in cui mi alzo dal letto molto fiduciosa. Piena di interesse. Non so poi bene per cosa ho questo interesse. Però ce l’ho.

Giorni in cui mi ripeto nella testa le cose da fare, aspetto l’arrivo del panico e lui non arriva, arriva al massimo solo per farmi un veloce saluto ma poi va subito via, perché non c’è bisogno di lui.

Ci sono poi altri giorni, come oggi, in cui le cose fuori sono sempre le stesse, solo che fanno più male. E quando le cose fanno male hanno questo vizio antipatico di sommarsi tra loro, di non farsi vedere una per una, ma di diventare un’enorme bolla di qualcosa che non va bene. Una bolla che ingloba tante cose al suo passaggio. Una bolla che ingloba anche me.

La bolla ingloba tutto a grande velocità mentre ripete le innumerevoli cose che non vanno bene. Le ripete, chiaramente, con una ferrea logica e un ferreo ordine di importanza, come: mi sento sola – sono stanca – perché il tè diventa subito tiepido – due scienziati sull’Artico non si sono mai messi la biancheria pesante perché faceva troppo caldo.

Cose legate insieme da dei fili logici: oggi piove – non riesco a studiare – c’è una pandemia – la mia faccia non va bene – ora mi toccherà riscaldare di nuovo il tè, è la terza volta – mi sento isolata- devo ancora preparare tutte le lezioni di oggi.

Cose consequenziali: fa freddo – ma non fa freddo come dovrebbe in questa stagione (queste sì, sono due considerazioni collegate) – i miei capelli sono ricresciuti troppo e sembrano un pallone – Eni vuole tantissimi soldi per continuare ad inquinare – adesso che l’ho riscaldato, il tè è anche finito, forse ne bevo troppo? – che si farà a Natale?

C’è da notare che, in tutti questi pensieri, evito accuratamente di dirmi come sto. O, almeno, di chiedermelo.

Durante il lockdown in primavera, al telefono non dicevo come stavo. Mi concentravo sul sottolineare le cose che facevo. Dicevo che facevo tantissime cose. Scrivevo, leggevo, seguivo delle lezioni, davo lezioni ai bambini, facevo noiosissimi esercizi e sempre le stesse lezioni di yoga. Stavo sul balcone al sole. Quindi, concludevo al telefono, se faccio tante cose va tutto bene.

La notte mi svegliavo e non mi riaddormentavo più per una o due ore. Nonostante le mie paure per il sonno, che mi hanno spinto per anni a impostare sveglie che interrompevano il mio sonno durante la notte, non ho mai avuto problemi di insonnia. Piuttosto, avevo problemi di crolli improvvisi e fortissimi (causa le sveglie durante la notte, probabilmente). Durante il lockdown andavo a dormire e i piedi scalciavano nel letto, senza fermarsi. Mi svegliavo alle due di mattina e i piedi scalciavano ancora, allora mi spiaccicavo sul pavimento e provavo a stirare le gambe in qualche modo. Le mie gambe volevano muoversi, non stirarsi, ma dopo un po’ cadevano nell’inganno. Oppure ci rinunciavo, riscaldavo del latte di mandorla e mi piazzavo con un libro sul divano. Avevo sempre immaginato che leggere in piena notte fosse qualcosa di assolutamente imperdibile e meraviglioso. Non è stato così.

A e io spesso discutevamo e a volte litigavamo, e io non capivo perché, mi sembrava che ci fossero sempre dei motivi stupidi alla base. Mi sembravano troppo stupidi, questi motivi, allora mi dicevo che era perché io non andavo bene e lui non andava bene e niente andava bene. (Ma principalmente che io non andavo bene, perché il mio cervello ci è più abituato). Non pensavo che forse il fatto di vivere chiusi in uno spazio minuscolo per mesi potesse in qualche modo influire sulla cosa.

Un mese fa sono andata dalla dermatologa perché il mio mento e la parte inferiore delle mie guance da qualche mese si sono riempite di bolle. “Può essere la mascherina?” ho chiesto. “Può averlo aumentato, sì. Ma queste bolle vengono per lo stress. Sei stressata?” Io ho detto che non lo sapevo.

La dermatologa mi ha dato una crema da mettere sulle bolle. Sono molto arrabbiata con le mie bolle. Sono arrabbiata con la mia faccia. A volte immagino bolle che hanno ricoperto la mia faccia, che è diventata per sempre irriconoscibile. Quindi io provo a grattare via le bolle, e così faccio peggio, la faccia diventa rossa, si graffia ed esce il sangue, e io mi odio ancora di più.

È come se, grattando le bolle, cercassi di grattare via tutto quanto. Grattare via le bolle per grattare via lo stress che non sento di avere, grattare via la bolle per grattare via la paura che non mi dico di avere. Grattare via le bolle per grattare via la tristezza che non dico di avere.

Solo che, continuando a dire che le bolle sono colpa mia, continuo a dirmi che la paura è colpa mia, che lo stress è colpa mia, che la tristezza lo è.

E poi che la mia faccia rovinata è colpa mia. Questo, in effetti, forse è anche un po’ vero. Se la gratto e faccio uscire sangue, in effetti la rovino.

Allora ho iniziato dalla faccia. Forse la cosa un po’ più esteriore. Forse per questo la più facile. Evito accuratamente lo specchio del bagno, ma poi passo i miei pomeriggi su zoom e vedo continuamente la mia faccia.

Da qualche giorno ho iniziato a notare cosa accade quando gratto la faccia. In genere sono arrabbiata. O annoiata. O stanca. In questo modo scopro anche come sto. Visto che mi serviva, però, una motivazione ulteriore, mi sono promessa un premio: se non gratto la faccia per quattro giorni di seguito posso ordinare dei libri da Bookdealer. Ma solo se non baro.

Per questo conto sul mio senso del dovere e sul mio essere dura con me.

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Ogni quindici giorni, pandipanico verrà ospitato sulle pagine di Aware, ogni volta con un panico nuovo, nella nostra sezione dedicata al tema salute mentale. Qui il blog: https://pandipanico.blogspot.com/. Clicca sulla pagina “autore” in alto per leggere i precedenti articoli!

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