Niagara: un viaggio digitale senza confini. L’intervista al duo elettronico tra natura e IA

Una lunga chiacchierata con Sofia Albanese, music composer del duo Niagara, che nella serata del 13 agosto durante il Festival delle Cose Belle al Sol Ribaldo, insieme al visual artist Emanuele Costanzo, ci ha regalato un tuffo in un mondo altro, leggero e profondo come il mondo rappresentato in musica e video.

I Niagara sono un progetto audio-visual con una forte sensibilità nei confronti di temi universali quali etica, empatia ed ecosostenibilità. Al FDCB23 ci hanno fatto viaggiare sulle onde magnetiche di visual integralmente dal vivo intrecciati ipnoticamente con le note elettroniche di un set immersivo e spiazzante. Li abbiamo incontrati per proseguire questo dialogo aperto nella sera del 13 agosto e conoscere di più su cosa si cela dietro a un progetto capace di rivoluzionare i canoni del trinomio macchine-natura-arte.

Niagara al FDCB23, foto di Davide Comandù.

Niagara è un progetto artistico fondato da Sofia (music composer e producer) e Emanuele (visual artist). Come e dove è nata la vostra collaborazione?

Niagara nasce da un mio progetto di tesi finale di master dove la ricerca era quella di creare una performance in cui musica e video interagissero in un modo più particolare del semplice visual. Volevo ricreare un ambiente virtuale dove l’artista potesse muoversi liberamente durante il proprio viaggio musicale, e avevo pensato di utilizzare il software per videogame di Unreal Engine. Ho conosciuto per caso Emanuele (visual artist), qui a Roma, nel momento in cui mi stavo trasferendo a Berlino, eppure lui quando ha sentito il progetto, nonostante fossi in partenza, mi ha proposto di collaborare insieme come artisti al progetto. E nonostante la distanza e il lavoro da remoto, siamo riusciti a realizzare il nostro primo viaggio audiovisivo “Clorofilla” e ad esibirlo dopo 4 mesi all’evento di arte e scienza all’Orto Botanico di Roma “Plants & Humans – Future of Our Bio-Tech Planet”.

Cercando su alcune piattaforme musicali ci si imbatte in svariati artisti denominati “Niagara”, di cui addirittura un altro duo elettronico italiano. Come mai avete deciso questo nome per il vostro progetto? Considerando il ruolo centrale che svolge il nome di un artista dal punto di vista di visibilità (come ad es. nei canali social, motori di ricerca, siti web, hashtag etc), vi preoccupa mai la possibilità di essere offuscati o addirittura confusi da un vostro omonimo?

Penso di conoscere quel duo di cui parli, li vidi a Roma anni fa! È un nome che può facilmente portare altrove, lo sappiamo, diciamo che bisogna sapere cosa cercare. Abbiamo fatto una scelta di cuore, Niagara è l’elemento particellare (nel software di Unreal Engine) con cui è nato il primo collegamento tra audio e video nel progetto. Ci siamo molto affezionati, lo abbiamo visto muoversi e prendere vita grazie a suoni esterni al software ma provenienti da Ableton (il software per la parte audio). E poi, in realtà, di duo audiovisual o di arte multimediale non abbiamo trovato altri progetti con questo nome. Per togliere ogni dubbio, soprattutto sui social, ci trovate come Niagara_fx (fx sta per effect, sia visual che sound).

Le vostre esibizioni sono una esperienza audio-visiva che si immerge nei meandri più avanguardistici dell’era digitale a più dimensioni. Ci potete spiegare brevemente il vostro setup e come eseguite i vostri live? Musica e video si sviluppano in maniera indipendente o usate strumenti che permottono di far interagire le due cose?

Il nostro setup è molto semplice. Abbiamo le nostre due postazioni in cui ci occupiamo in una dell audio e nell’altra del visual. Tramite cavo ethernet abbiamo i nostri computer collegati, per cui a un segnale su un computer corrisponde la generazione di qualcosa nell altro (se suono un kick sul mio software audio si accendono dei cerchi di luce intorno a un albero nel software visual). Abbiamo costruito intorno a questo collegamento tra Ableton ed Unreal Engine l’intero viaggio di Clorofilla.

Un mondo virtuale da esplorare con il joystic come un open world, la musica e i testi che tracciano la narrazione e interagiscono tramite synth e controller con gli oggetti nel mondo virtuale. 

Parte fondamentale del vostro lavoro artistico si sviluppa attraverso l’intelligenza artificiale. Sebbene l’utilizzo di questa tecnologia si sia fatto sempre più comune nella nostra società sotto varie forme, rimane tuttavia il serio dubbio sui potenziali danni che uno strumento così potente possa generare se usato in modo improprio o inconsapevole. Si pensi ad esempio ai chatbot openAI che sono stati spesso causa di violazione della privacy, diffusione di fake news, plagio, truffa etc. Voi come vi ponete nei confronti di questo evidente dilemma etico?

Questo è punto fondamentale. E non è facile riassumere in breve pensieri e riflessioni a riguardo senza argomentarli a dovere. Diciamo che l’input del nostro progetto è stato quello di cercare di raccontare l’interconnessione che permea la nostra realtà, il sistema estremamente complesso della natura in cui ogni cosa e connessa all’altra, traducendola in un’esperienza immersiva che potesse suscitare quel tipo di sensazione sinestetica con cui facciamo esperienza del mondo. 

Non siamo assolutamente dei paladini dell’intelligenza artificiale, tutt’altro. Il nostro è un progetto di ricerca, che vuole esplorare in senso critico l’utilizzo della tecnologia, capirne le possibilità e le profonde criticità. E ci sembra che il modo migliore per esplorarlo sia quello di provare ad includerlo e dialogarci criticamente. Ci piaceva l’idea di parlare del viaggio dell’essere umano alla ricerca della sua madre natura, attraverso quella stessa tecnologia che lo ha allontanato da lei. 

Crediamo che la cosa più importante di tutte sia sviluppare un senso comune critico ed etico a riguardo, e crediamo che l’arte possa contribuire a far nascere quella sensibilità che rimane lo strumento più affidabile ed efficace per orientarci al cambiamento. 

Un altro tema centrale del vostro immaginario è legato al rapporto tra uomo e ambiente. Ad esempio nella visual performance Clorofilla ricreate digitalmente un ecosistema naturale che integisce con i vostri gesti e la vostra musica. Potete dirci di più sulle motivazioni che vi hanno spinto a realizzare questa opera? A vostro avviso nella nostra era uomo e ambiente possono coesistere anche senza la mediazione della tecnologia?

All’uomo non servirebbe altro che vivere nella natura. Ma probabilmente in questa storia dell’umanità l’uomo deve spingersi verso la conoscenza, l’acquisizione di più informazioni possibili sull’esistenza, un desiderio che però corre più veloce di una comprensione più profonda.

La nostra riflessione artistica cerca di riportare l’attenzione sul rapporto inscindibile e di interdipendenza tra uomo e natura, cerca di raccontare la rete di somiglianze tra i processi che intercorrono tra esseri umani e piante, e quanto potremmo imparare (o ricordare) guardando il loro sistema organizzato in una comunità democratica, dove ogni essere è connesso all’altro secondo principi di relazione e co dipendenza, dove le loro società non riconoscono gerarchie ma favoriscono il mutuo supporto come strumento di coesistenza e progresso. Clorofilla parla proprio di questo.

A proposito di reltà digitali, sono quasi due anni che si sente parlare dell’imminente realizzazione del metaverso e di come grazie ad esso, quasi come nella vostra Clorofilla, l’intera umanità potrà sperimentare un mondo virtuale che imita gli aspetti del mondo fisico. Pensate che questa innovazione possa contribuire ad una maggiore e utile comprensione della realtà o diverrà un nuovo layer di alienzione digitale pilotato dal capitalismo?

Siamo molto scettici sull’avvento del metaverso. Già la dimensione dei social ha acuito profondamente il divario tra reale e virtuale. Calarci tutti in un metaverso ci sembra provocare un ulteriore scollamento dalla vita vera. Clorofilla è un ibrido, e crediamo che l’aggettivo ibrido sia la chiave per una prospettiva del futuro che non sia distopica. 

La presenza del reale, soprattutto in una performance, è l’elemento che permette all’arte veramente di vibrare, di attraversarci corpo e mente. Ridurre tutto a solo una dimensione che prova a ricreare certe sensazioni, non crediamo possa avere lo stesso risultato di avere delle persone reali che suonano, ballano, che emanano un certo tipo di energia ed emozioni con cui lo spettatore vibra ed entra in risonanza.

Nell’esperienza ibrida di Clorofilla (performer + realtà virtuale) utilizziamo l’ambientazione surreale per aprire un canale onirico, di viaggio nel sogno, e riuscire a condensare in una performance limitata dal tempo e dallo spazio più piani della realtà. 

E il fatto che ci siano delle persone reali come performer ed altre riunite ad ascoltare e completarne il significato, permette quello scambio reciproco dato dalla fisicità e dalla contingenza dello stare tutti insieme in quell’esatto momento unico e irripetibile. 

Ritorniamo a parlare di ambiente. Nonostante l’evidente crescita di estremi fenomeni naturali che affliggono ogni angolo della terra, una buona fetta dell’umanità non crede al pericolo dei cambiamenti climatici o per lo meno ritiene che tali eventi siano sempre esititi da che il mondo ha avuto origine. E’ possibile e/o sensato convincere queste persone del contrario? Pensate che collettivi e movimenti sociali indipendenti come AWARE possano contribuire a risolvere questa lunga diatriba?

È assolutamente importante incontrarci, riconoscerci e riunirci, quando tutto intorno sembra “disunire”. Non è facile mantenere alta la forza d’animo, quando, prima degli altri, siamo noi stessi a ritrovarci spesso impantanati nelle nostre personali contraddizioni. Ma credo che partendo da una sana accettazione dell’essere nati in società strutturate alla base da presupposti disumanizzanti, da questa coscienza, si può sempre fare il salto. E se quel salto lo fa un’intera comunità, allora si possono davvero cambiare le cose ed avere un impatto sul mondo. Probabilmente siamo vicini a una resa dei conti, il che, personalmente, non lo trovo così negativo. 

Penso che per la prima volta abbiamo una vera occasione per chiederci da che parte vogliamo stare. Movimenti come AWARE sono fondamentali non solo per la divulgazione e sensibilizzazione ma anche per il senso di collettività, di ritrovo e di condivisione di cose belle. Perchè la differenza si fa con le cose belle.

Avete esordito il 13 agosto al nostro Festival delle Cose Belle 2023. Come è stata la vostra esperienza? 

È stata un’esperienza bellissima. Avevamo finora esibito Clorofilla in contesti di città, con le performance sempre al chiuso. Il contesto del festival delle cose belle era quello che stavamo aspettando: avventurarci nel viaggio virtuale nel mondo di Clorofilla circondati da vere piante, alberi, da un vero paesaggio naturale (ed è magico quello di Rocca Corneta), viverlo insieme a persone riunite da quello stesso richiamo e desiderio di natura, raccoglimento e condivisione.

Ci siamo trovati di fronte a un pubblico meraviglioso, attento, in religioso silenzio, che ci ha regalato la sensazione bellissima di essere tutti insieme in quel racconto. E siamo felici degli apprezzamenti ricevuti non solo sull’aspetto tecnico di interazione audio e video, ma anche sul piano del contenuto e narrazione del viaggio di Clorofilla. 

Ci piace che arrivi non solo come un’esperienza onirica ma anche come qualcosa che cerca un dialogo con chi lo ascolta.

— Articolo di Mellifrugo —

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