Orizzonti vicini: Uiguri

Tra la sabbia di un deserto radioattivo e le minacci anti-islamiche, innumerevoli Uiguri vengono perseguitati e internati in campi di concentramento cinesi.

Gli Alleati

Usciamo dai riflettori delle superpotenze mondiali, e puntiamo la lente della nostra curiosità in un angolo dimenticato del vasto territorio cinese. Nell’estremo nord-ovest, la regione autonoma dello Xinjiang è abitata per il 46% da una comunità meticcia e meravigliosamente mischiata: gli Uiguri. Il termine, che significa “alleati”, “uniti”, indica un’etnia turcofona di religione islamica che alterna tratti fisici europei a fattezze mediorientali e caratteristiche asiatiche; e ciò accade in uno dei paesi meno improntati alla diversità culturale.
Ciò ha comportato, nel tempo, varie diaspore che vedono piccole comunità uigure sparse per il mondo.

Le Repubbliche del Turkestan Orientale

L’antica tribù che originò gli Uiguri occupò il territorio dello Xinjiang verso l’860, fondandovi un regno. Verso il XIII° secolo i turchi Gok sottomisero il popolo del Turkestan orientale cominciando il seguitarsi di diversi padroni. Dagli Zungari, passando per le dinastie cinesi Han e Tang, si arriva al 1864, data della riconquista dell’indipendenza uigura. Autonomia breve: nel 1877 i Manciù si riprendono il controllo del territorio formando la provincia dello Xinjiang.
Il primo Novecento ha visto rapide ribellioni e potenziali vittorie indipendentiste. La Prima e la Seconda Repubblica del Turkestan Orientale, rispettivamente formatesi nel 1933 e nel 1944, non durarono neanche un lustro, ma hanno mostrato il volto del malcontento di un popolo che non ha mai davvero goduto di una propria libertà. Nel 1955 la provincia diventa Regione autonoma uigura dello Xinjiang, parte della Repubblica Popolare Cinese.

Uiguri in pregiera
Uiguri fotografati durante una preghiera// credits: it.insideover.com

Religione e Meshrep

L’unione di più culture si fa sentire anche nel campo religioso.
Gli antichi uiguri credevano in uno sciamanesimo di divinità locali, fondato sulla dicotomia tra bene e male spesso simbolicamente rappresentata dal fuoco e dall’oscurità. L’influenza di altre fedi ha favorito un ambiente in cui il popolo poteva scegliere diversi aspetti di altrettante credenze. Fu così che pratiche pre-islamiche, come il zoroastrismo, plasmano le leggi morali uigure insieme alle usanze musulmane. Nonostante molti sono fedeli alla Chiesa d’Oriente o al Buddhismo, la maggioranza della comunità è ad oggi fortemente musulmana.
Di basilare importanza nella cultura uigura, è il Meshrep (lett. “Festa del raccolto”). Questo tipico raduno maschile include eventi di letteratura, ma soprattutto tanta musica e danza intorno al grande tavolo imbandito di cibarie. È inoltre tradizione intavolare delle conversazioni di stampo socio-morali per far sì che tutti gli uomini della comunità collaborino ai fini della stessa.
Negli ultimi decenni, con il crescere delle diatribe tra Uiguri e Cina, i Meshreps sono diventati veri e propri incontri di forza politica. Di esempio furono gli incontri nella città di Ili, negli anni ’90, da cui presero piede gruppi di giovani islamici dissidenti che il governo cinese non tardò a reprimere, con conseguenti disordini di violenza urbana.

Taqlar makan

Solo il 9,7% circa della superficie dello Xinjiang è abitabile, ma la forza di questa regione sta nel ricco suolo. Negli ultimi decenni sono stati trovati ingenti riserve di petrolio e minerali che rendono lo Xinjiang il più grande centro produttivo di gas naturale della Cina. Per questi beni il potere centrale di Pechino non mollerà facilmente questi terreni inospitali, che sono stati teatro anche di ben altro sfruttamento. Una buona fetta della regione è dominata dal deserto del Taklamakan, la cui etimologia è riconducibile all’espressione uigura “taqlar makan”, cioè <<luogo delle rovine>>. È ora rinomato, però, col soprannome di “Mare della morte” a causa della sabbia tossica che lo infesta. Ma non è una strana vendetta di madre natura. Tra il 1964 e il 1996 il deserto è stato usato come base per la maggior parte dei test nucleari condotti dalla Repubblica Popolare Cinese. La sabbia radioattiva uccide ancora oggi.

Deserto del Taklamakan
Lago della Luna Crescente, Dunhuang, deserto del Taklamakn // credits: leadtochina.com

Uiguristan

La presenza straniera in terra uigura non è mai stata richiesta. Dopo secoli di egemonia dittatoriale, l’attività indipendentista uigura ha origine nella prima metà de Novecento e si alzò chiedendo la formazione dell’Uiguristan, lo stato degli Uiguri, che coincide con la regione in cui vivono e sopravvivono. Data la matrice religiosa, dal 2001 si è intensificata la repressione da parte cinese dei movimenti antigovernativi, occultata dalla giustificazione di “lotta al terrorismo”. Dietro la maschera però, si celano motivazioni che violano i diritti umani di libertà culturale. Lo strapotere di Pechino ha così carta bianca per soffocare ogni voce libera degli Uiguri.

Scontri e repressioni

Primo obiettivo: le moschee. Alti i numeri dei luoghi di culto musulmano distrutti dalle forze governative. A Kashgar, la Moschea Id Kah, la più grande della Cina, ha visto nel 1933 la decapitazione del leader uiguro Timur Beg da parte del generale cinese Ma Zhancang, che non sazio mostrò la testa dell’avversario su una punta dell’edificio religioso. L’anno dopo, stessa infame sorte toccò all’emiro Abdullah Bughra.
Gli scontri non si ebbero solo in campo religioso, ma anche in strade cittadine.
Il 26 Giugno del 2009, l’etnia Han, altra grande comunità cinese, si scontra con gli uiguri nella città di Shaoguan. La morte di due uiguri in quel caldo giorno estivo generò una successiva protesta nella capitale dello Xinjiang, Ürümqi. Lo scontro Han-Uiguri fu accresciuto dall’intervento della polizia cinese. Si arrivò a statistiche drammatiche: 184 vittime (137 han, 46 uiguri) e 1434 arresti.
Le conseguenze furono catastrofiche. La Human Rights Watch ha documentato 73 casi di Uiguri scomparsi nei rastrellamenti della polizia nei giorni seguenti la rivolta.

Protesta uigura
Protesta uigura// credits: Francisco Seco- AP Photo

“Campi di rieducazione”

A quello che si può ascoltare accendendo il telegiornale, si aggiunge tutto ciò che un governo può fare senza farsi notare. Ed è, solitamente, di una crudeltà inaudita.
Atti intimidatori, violenze e detenzione illegale sono le violazioni che il popolo uiguro cerca da tempo di denunciare all’estero. Ma la censura cinese è ferratissima in materia, tanto da dover ricorrere ad originali escamotage: un’adolescente statunitense ha finto un tutorial di make up per parlare delle detenzioni illegali cinesi, postando il video su TikTok, famosa piattaforma network proprio di proprietà della Cina.
Ma la situazione è altamente più delicata. Se il civile uiguro è sottoposto a controlli che non rispettano affatto la privacy individuale, sorte peggiore tocca a chi pensa soltanto di poter essere un dissidente. Chi prova a mettersi contro il governo rosso si vede aprire le porte dei “campi di rieducazione”.

Adem yoq

i Laogai, che sono a tutti gli effetti dei campi di concentramento, ospitano un numero non ben quantificato di Uiguri. Dal 2018 sono trapelate notizie più certe di queste prigioni. Il governo cinese parla di campi di “trasformazione attraverso l’educazione” di prigionieri con matrice terroristica. La coltre nebbiosa che nasconde questi luoghi non permette una solida definizione di ciò che accade al loro interno.
Ma ciò che la luce non vede, non è mai qualcosa di buono. A maggior ragione se i parenti degli internati non hanno alcuna possibilità di rivedere i propri cari per chissà quanto tempo.
Un elemento solido e concreto c’è: la continua sparizione di civili Uiguri che svaniscono nel nulla, forse proprio sotto la coltre nebbiosa dei Laogai.

“Adem yoq”
, dicono per le strade dell’Uiguristan: “Se ne sono andati tutti”.

In forza alle forze dell’ordine cinesi c’è anche in dotazione un manuale per spiegare agli studenti, in visita alle loro famiglie, perché i loro genitori fossero spariti da casa. Qui, il livello di disumanità raggiunge picchi che spaventano solo a pensarci. Già alla stazione, al rientro dal semestre scolastico, gli studenti venivano avvicinati e veniva spiegato loro che i genitori si trovavano in “scuole di addestramento” del governo e che quindi non potevano vederli. Nel caso di insistenza dei ragazzi, gli agenti erano autorizzati a minacciare velatamente i giovani, ai quali poteva essere detto che dal loro comportamento sarebbe dipesa la lunghezza della permanenza dei genitori nelle “scuole”.
Tutto questo è scioccante.

Le spalle del Mondo

Mentre prosegue indisturbata la politica della Cina di cancellazione dell’identità uigura, il mondo volta le spalle. Il governo americano è sempre stato sul punto di varare sanzioni contro i responsabili della violazione dei diritti umani ai danni della minoranza musulmana, ma Trump, per cui la difesa dei diritti umani non è una priorità, ha sempre rimandato in virtù del timore di compromettere l’accordo commerciale con Pechino.
In pratica chi può fare qualcosa non lo fa perché la Cina ha accordi commerciali dappertutto.
L’indomani dei primi scontri Uiguro-cinesi fu recapitata all’ONU una lettera di denuncia contro il governo cinese. La contro-lettera da Pechino non si fece attendere, e se la sua posizione indegnamente negazionista non stupisce, spiazzano le firme degli stati che in questa lotta fanno squadra con la Cina. A firmare la lettera pro-Pechino sono stati regimi repressivi come Corea del Nord, Venezuela, Cuba e Bielorussia, ma lascia a bocca aperta leggere i nomi di paesi musulmani come Pakistan, Oman, Kuwait e Qatar,  che hanno preferito abbandonare chi difendeva il diritto alla loro stessa religione per non disobbedire ai soliti accordi economici. Alla lista si aggiungono anche i paesi africani che vivono da tempo sotto il ricatto commerciale degli investitori cinesi, spesso camuffato come “aiuto umanitario”.

Sta a noi, allora, prolungare il grido d’aiuto della popolazione uigura.
Sotto la coltre nebbiosa delle malefatte cinesi, non deve rimanere imprigionata una comunità meravigliosamente multietnica.
Dietro alla prepotente mano cinese, non deve nascondersi uno dei popoli più colorati e artistici del pianeta.

Lago Tianchi
Lago Tianchi, nella regione dello Xinjiang // credits: CGTN

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Immagine in evidenza:
Maschera di protesta uigura// credits: Ozan Kose-AFP

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.