ALIENazione

Questa è una di quelle classiche sere in cui me lo chiedo ossessivamente ma proprio non so come può andare a finire. Sono le 23.00 e sto per entrare in quella strana crepa spazio-temporale in cui poggi il culo su una superficie random nell’intento di fare qualcosa e di colpo ti accorgi che l’orologio segna le 2.00. Giuro, è una di quelle cose che mi fanno credere quasi fermamente nell’esistenza degli alieni, perché mi sforzo sempre di ricostruire ciò che diamine ho fatto in quelle ore, ma fondamentalmente non ne vengo mai a capo, proprio non lo ricordo come l’ho impiegato il tempo, e dunque l’unica plausibile spiegazione è un rapimento extra-terrestre. Venite a salvarmi dalla tristezza, dalle paranoie, dai vizi della notte, almeno voi, creature spaziali, vi prego.

Vorrei che invece l’altra crepa, quella che s’è aperta oggi di nuovo sulla fronte – e che sto volutamente ignorando da stamattina – fosse un buco nero in espansione, pronto a fagocitarmi dal di dentro e risputarmi in un’altra galassia. Altrove, mi basta non essere qui ora e dover subire questa sensazione del cazzo, questo vuoto che mi rimangia le tempie. Lo sento muoversi dentro di me, ha un moto ondulatorio, è come una marea che sale. Questi sono i momenti in cui mi scopro codarda come siamo un po’ tutti e molto meno onesta di quanto penso, perché sento di avere bisogno anch’io di una distrazione, di qualcosa da toccare, da cui farmi toccare, qualcosa che mi faccia sentire meno in rotta di collisione con l’Universo. Dico sempre che io no, non sia mai, io con questa sensazione qui ci so stare e ci convivo senza cercare palliativi, riempimenti, farmaci nemmeno. Mi spacco la testa, piuttosto, ma ci so stare col mio dolore, figuriamoci. Ho le ossa dure, anche se non sembra, anche se ho questa faccia da eterna ragazzina e questi polsi minuscoli.

E invece no. A volte ho bisogno anch’io di una scossa esterna. Però non è mai un palliativo che cerco, quello no. E anche chiamarla distrazione è inesatto. Forse un contatto, è questa la parola giusta. E non so se sia poi tanto sbagliato, le cose più vere che io abbia sperimentato nella vita, alla fine, sono sempre arrivate incanalate da questo bisogno che, paradossalmente, mi spinge ad essere più impulsiva, reattiva e famelica di quanto io non sia generalmente. Silenzio il cervello e vado in pilota automatico, a guidarmi è l’istinto. E il mio istinto è quasi sempre infallibile, sceglie cose e persone in maniera apparentemente arbitraria e casuale ma so che non è così. So che mi spinge sempre verso qualcosa che abbia il potere di scuotermi almeno un po’, che possa restarmi attaccata alla pelle e alle ciglia per il tempo che basta, fosse anche un’ora. Una connessione reale per 60 lunghi, lunghissimi, perfetti minuti. O anche meno. A volte di più. Quello che è. Non è poco.

Oggi però è difficile. Col culo sul letto penso che vorrei uscire, ma poi finisce che bevo anche stasera, fumo troppo e mamma si arrabbia e mi dice che sono stupida, finisce che mi rendo conto di quanto, nonostante il tempo trascorso, io continui ad odiare immensamente questa città del cazzo e tutto quello che rappresenta. Mi concedo una sigaretta in balcone e respiro l’aria tra questi palazzoni, dicendomi che tra qualche giorno sarò a Roma e allora starò meglio. Forse.

Le sigarette per me hanno un fascino unico, difficilmente sostituibile con altro. Sono totalmente dipendente dal gesto e dal piacere estetico che mi regala. Mi perdo a seguire serpenti di fumo nell’aria, fisso il quartiere, fisso le stelle e lascio la testa circolare libera, un po’ ovunque. Ho voglia di sprofondare nel bianco, un bianco luminoso e accogliente, una culla di plastica e luce, e non pensare più a niente. Ma ora sto già pensando di non dover pensare. E ora sto pensando che sto pensando di non dover pensare, e non devo, non devo, non… L’abbaiare di un cane in lontananza mi scuote e inevitabilmente mille immagini mi si appiccicano al cervello. Sparisce il bianco. Notte, nero, foresta, luna, lupo, denti, bianco. Di nuovo il bianco, che palle. Allora torno ai denti, che mi intrigano di più. Denti che mordono. Mi piacciono i morsi, e i baci coi morsi, e anche i baci e basta. Penso che se mai dovessi uscire con qualcuno che invece di provare a baciarmi mi provasse a mordere il collo, sarei perfettamente in grado di innamorarmi così, su due piedi.

Questa è tutta colpa della mia passione per i vampiri, me ne rendo conto. E così torniamo a notte, luna, pipistrello… Batman. Dio, come vorrei essere Batman. I vestiti di pelle già li ho, mi manca il mega villone e giusto un po’ di soldi. Ma probabilmente se fossi un supereroe sarei più tipo Hulk. Perché sono sempre irrequieta e perennemente incazzata. Per i muscoli ci sono gli effetti speciali, non certo la palestra. Per il colore verde va bene la bile che mi sale tutti i giorni per colpa del prossimo. Eppure prima non ero così, ero l’opposto. Rientravo in quella meravigliosa categoria di persone che abbozza una vita ingoiandosi i peggio veleni, sempre a mediare, capire, a tentare di mantenere il controllo, a reprimere l’animale interiore. Mi sentivo saggia e matura. Poi il mio psicoterapeuta mi ha detto che era una cazzata e che dovevo tirare fuori la rabbia altrimenti m’avrebbe uccisa. Mi ha detto che era normale provare rabbia, persino odiare. Me l’avessero detto prima. E allora eccovi serviti, buon appetito, rabbia a palate su vassoi freddi quanta ne volete, per anni. La sensazione più bella del mondo: essere almeno per un momento l’animale che hai civilizzato e addomesticato. Mi divertono gli occhi strabuzzati delle persone che non se l’aspettano, perché sei stata accomodante e comprensiva sempre.

Dio però basta rimuginare, è colpa di questa città, lo so. Rientro dentro.

In questo esatto momento qualcuno – chissà dove, perché, come – sta morendo. Qualcun altro invece sta pensando di voler morire, ma non avrà poi il coraggio di realizzare il proposito. Qualcun altro ancora sta facendo l’amore, o sta scopando, come vi pare. E questi ultimi sono i più fortunati, se se la vivono bene. Forse sono tutti modi di subire la vita, tirare avanti, pure la morte, anche solo pensarla e basta, anche il sesso. Non sempre, il più delle volte sì però. Pensate a quanta gente avete scopato senza desiderio, senza passione, per noia, per gioco, per dovere, per dimostrare qualcosa, per dimenticare qualcuno, per disperazione. A me è successo un paio di volte, poi ho capito che non fa per me. Senza passione siamo finiti e senza desiderio siamo polvere. Se penso al sesso penso ai morsi sul collo, questo mi riporterebbe ai vampiri, rendendomi profondamente monotematica, perciò cambio in fretta pensiero.

Un giorno avrò meno ossa sporgenti e mi comprerò una bella parrucca a caschetto azzurra, come il mare, come il cielo, come gli occhi che vorrei avere, come il colore dei miei sogni. Qualcuno ha scritto: «la vita non è né brutta né bella, ma è originale», ed io spero tanto a mia volta di essere abbastanza originale per essa. E per questo non basta avere una parrucca azzurra, per quanto bella che sia.

Ma questo soffitto non mi è mai sembrato più pesante e vorrei di nuovo essere luce e sparire quando serve. Se qualcuno mi dovesse chiedere in questo momento cosa davvero cerco – ma davvero davvero – penso che risponderei: l’esperienza totale. Quell’attimo che ti scuote le viscere e ti fa sentire una carica di dinamite con la miccia accesa, che sta per esplodere e spaccare tutto. Quel momento perfetto, probabilmente completamente sbagliato, che ti fa dire: cazzo, vivo. Solo questo. Tutto il resto è cieca salita, cieca rincorsa, cieca e veloce discesa, punto. Sarà per questo che tutte le mattine appena mi sveglio e poggio il piede a terra il primo pensiero è: cristo, e ora? Sarà poi per questo che le persone non mi piacciono in genere, ma quelle poche che mi piacciono… mi piacciono per davvero. Sarà anche che perdo tempo ed energie ad arrotolarmi il cervello in tante spire, fino ad esserne sopraffatta a volte, ma sono anche capace di scordare tutto o di non provare più niente in un istante, spesso per cazzate, ma solo perché avevo già deciso così, avevo già posto un limite dal principio anche se non lo dico.

Non capirò mai se sono un cristallo o una fiamma, ma cerco d’essere sempre un po’ entrambi. Non so se sono una selvaggia col viso da bambina o una bambina col viso da selvaggia. Mi vesto sempre di nero perché è il colore più poetico e completo, e anche perché un po’ mi piace nascondermi. Però se potessi farlo mi vestirei tutti i giorni come le tipe dei manga. Mi piacciono i teschi non perché McQueen ha lanciato la moda, ma perché mi ricordano che sotto sotto siamo tutti osceni e inguardabili allo stesso modo.

Insomma, forse sono una persona un po’ confusa, forse apparterrò per sempre alla categoria dei nevrotici e nonostante questo continuerò a bere minimo 4 caffè al giorno (6 nei periodi particolarmente bui) per poi lamentarmi che ho i nervi tesi come corde di violino. Ma sicuramente non sono una persona noiosa, affatto. E se dovessi incontrarmi in giro, mi darei una pacca sulla spalla e mi direi: oh, dai, stai facendo del tuo meglio. Cioè, non sempre, ma ci provi. Questo conta qualcosa, anche se questa sera non mi sembra un pensiero troppo reale, anche se questa sera vedo nero e sento la crepa infiammarmi le sinapsi.

Domani sono sicura che riuscirò a rimarginarla almeno un po’.

Domani.

Da sola? Da sola.

«Basterebbe la fantasia di qualcuno – un padre, un amore, qualcuno…»

Stai zitta, mi dico.

Da sola perché hai le ossa forti anche se il mondo non ti crede.

Però ci spero ancora in quella storia degli alieni che arrivano a salvarmi.

E poi sono verdi, come Hulk.

 

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