Ciò che perdi torna sotto altra forma

Io mi reputo fortunata, nonostante ci siano voluti forse anni e tanta cura per rendere le feste un momento piacevole. Anche solo per apprezzarle. Ogni anno arriva il Natale e io penso a tutte quelle persone che dovranno passarlo con famiglie e partner abusanti, a tutt que* ragazz* che dovranno sorbirsi commenti omobitransfobici sulla propria pelle, che non avranno la libertà di presentare il/la propri* compagn*, che si sentono prigionieri di situazioni asfissianti e traumatizzanti. 

Penso a quelle donne che lo passeranno in cucina a servire e riverire gli uomini, perché sapete, in molte case funziona ancora così. Le donne di famiglia in cucina, piccole maghe e alchimiste, impegnate a tagliuzzare sminuzzare mescolare impastare perfezionarsi ancora e ancora, equilibriste e acrobate tra stoviglie bicchieri bicchierini posate portate vassoi, e gli uomini a gambe divaricate sulla poltrona, tra battute sessiste e risatine compiaciute, a guardare questo spettacolo schioccando dita e lingua, come al circo. Padroni di un mondo che spero sparisca presto. Quante volte ho visto queste scene e c’era un tempo in cui credevo fosse la normalità.

Penso poi a chi passerà le feste da sol*, perché siamo nel bel mezzo di una pandemia che fa a pezzi affetti, tempo, amori e gioia, ma penso anche a chi è sol* perché è ancora in cerca della sua vera famiglia, della sua “tribù”. Di un luogo da chiamare casa. Che sia fisico, emotivo o spirituale. O tutte queste cose insieme. Ed è importante, in un anno che ha visto il concetto di famiglia – LA famiglia – tornare alla ribalta più forte che mai, perché rassicurante, perché la famiglia monocellulare etero è ancora un cuscinetto pronto ad assorbire mancanze d’altri. Ecco, vorrei ricordare a tutt*, ma proprio tutt*, che famiglia è il luogo in cui ci si sente al sicuro e non ha confini, le sue pareti sono fluide e morbide.

Il virus ha inasprito solitudini antiche e ci ha sbattuto in faccia tante cose, quest’anno. La nostra incapacità di coltivare relazioni significative, il radicamento malato nelle nostre paure irrisolte, lo spaesamento in un mondo che ci vuole perfetti, attivi e produttivi senza però darci davvero una formula giusta per poter esserlo senza rinunciare ad essere umani. Senza rinunciare alla fantasia, al piacere, al desiderio, al gioco, orizzonti sempre più distanti dal nostro vivere. Ed è un dramma di proporzioni bibliche. Una violenza che ci fanno e ci facciamo senza troppe domande.

Il virus ci ha mostrato come mai prima d’ora le miserie su cui abbiamo costruito come individui e società. Ci ha svelato le nostre bugie, mostrandoci quanto presto evapora il senso di comunità davanti al dolore, perché io ci vedo più arrabbiati e isolati di prima. Quanto presto svanisce la gentilezza se la coltiviamo solo nella paura. Però non sono condanne fatali, sono modi di essere e vivere qui ed ora e potranno cambiare, io ci credo.

Che tu sia Cristian* o meno, Natale significa (ri)nascita. In epoca romana coincideva col Dies Natalis Solis Invicti, ovvero la celebrazione della rinascita del Sole dopo il Solstizio d’Inverno, quando la durata del giorno comincia piano ad aumentare. Voglio pensare che l’anno nuovo sarà dedicato a questo. Ad una rinascita di noi stess* e del mondo che abitiamo e che ci abita.

Stiamo pur sempre entrando nell’era dell’Aquario. Diamo importanza alla comunità, alla trasversalità, al cambiamento radicale, alle connessioni significative, senza paura di ciò che ci stiamo lasciando alle spalle.

Ciò che perdi torna sotto altra forma. Magari più bella e simile a ciò che stavi davvero cercando, senza saperlo.

 

[Immagine in evidenza: In Sook Kim – Saturday Night]

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.