Il seme di Sankara

Il 29 luglio 1987 Thomas Sankara, militare pacifista e presidente del Burkina Faso, pronunciava ad Addis Abeba un discorso che sarebbe passato alla storia. Pochi mesi dopo verrà assassinato a causa delle sue parole rivoluzionarie.

Il 29 luglio 1987 Thomas Sankara, militare pacifista, presidente carismatico del Burkina Faso, pronunciava davanti all’assemblea dei capi di stato africani riuniti ad Addis Abeba un discorso che sarebbe passato alla storia per la sua capacità di smascherare la trappola del debito dietro cui gli stati occidentali tenevano soggiogato l’intero continente da decenni. Con una lucidità profonda e sconvolgente, chiudeva il suo intervento sottolineando l’importanza cruciale per la sopravvivenza economica e sociale del continente africano di rendere il proprio mercato autonomo dal giogo neocolonialista degli stati europei, asiatici e americani. Secondo Sankara, sarebbe bastato essere uniti nella riscoperta del potenziale immenso e ancestrale nascosto nelle pieghe della storia schiavista. La rinascita avrebbe preso corpo dando vita e libertà alla tradizione unica e irripetibile della propria civiltà.

Così: «La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. È il solo modo di vivere liberi e degni».

È il solo modo di vivere liberi e degni. Queste parole rappresentarono la sua condanna. Meno di tre mesi dopo da quel fatidico 29 luglio venne ammazzato da un commando armato. Con lui scomparve il sogno di un’autonomia economica e politica del continente. I paeselli sub-sahariani, governati da figure fantoccio soggiogate al potere occidentale, tornarono a piegare la testa sotto l’imperativo liberista degli stati esteri, mostrando indifferenza verso la tragedia macabra di milioni di cittadini costretti a vedere le ricchezze della propria terra prosciugate nel midollo senza alcun profitto.

Dall’altro lato del mare, gli stati occidentali hanno continuato ad alternare una politica economica imperialista e despotica, finalizzata all’agevolazione di un export a basso costo, alla cooperazione assistenzialistica, buona per ridurre le conseguenze dello sfruttamento ma inutile per garantire uno sviluppo sostenibile e indipendente alle popolazioni “aiutate”. Così per decenni.

Thomas Sankara
Thomas Sankara

Poco fa però è successo qualcosa. Qualcosa che potrebbe cambiare o incrinare questo rapporto di potere fondato sullo sfruttamento secolare. Il 7 luglio 2019 a Niamey, in Niger, i rappresentanti di 54 stati africani su 55 hanno firmato l’afCFTA, un trattato di portata storica che stabilisce la costituzione del mercato libero interno tra i paesi firmatari. Niente più dazi di dogana ai confini, barriere burocratiche nell’esportazione di prodotti, pedaggi commerciali. I paesi africani hanno scelto di dare finalmente linfa e valore alle ultime parole di Sankara: smettere di succhiare latte alla mammella inquinata dei propri aguzzini e valorizzare i prodotti della terra africana. Grazie al trattato afCFTA il potenziale commerciale del continente può esplodere sul suolo fertile di un tessuto economico in costante crescita. Il primo ostacolo alla valorizzazione dell’economia locale, la sua frammentazione in un feudalismo doganale, è stato abbattuto nel nome di un comune intento di crescita e indipendenza.

Ovviamente è solo un primo accordo e come tale può portare a tante strade diverse. Di certo non costituisce un atto di rivolta al potere neocoloniale né tanto meno stabilisce la volontà di chiudere gli accordi in essere con gli stati occidentali o le relative aziende di provenienza. Tuttavia, al di là delle effettive conseguenze economiche, vi scopriamo un valore inestimabile, diverso: gli stati africani, dopo anni di negoziati, hanno scelto di farsi corpo unico per rompere le catene che ne hanno menomato le membra per secoli. Sembra di vedere i primi chiarori di una visione realmente comune, la sola che può portare davvero alla libertà politica ed economica di milioni di cittadini e cittadine.

Dal canto nostro, come stati occidentali, possiamo solo applaudire questo passo. Lo sfruttamento economico, l’assistenzialismo, sono strumenti che hanno portato a disuguaglianze sociali ingiuste e terribili. Finalmente osserviamo la nascita di una nuova figura politica e commerciale con la quale cooperare e collaborare. Alla pari, come membri del medesimo sistema finanziario globale.

La prospettiva gerarchizzata neocolonialista ha scoperto il proprio limite nell’anima indipendente del popolo africano. Il seme gettato da Sankara più di 30 anni fa ha trovato terra matura nella quale germogliare. Il 7 luglio è nata una nuova consapevolezza. Saremo anche noi maturi abbastanza da rapportarci a questo sogno di indipendenza in nome di un comune sentimento di uguaglianza e giustizia?

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.