di Nicolò Segato
Volontario di Operazione Colomba
La luce del sole esplode tra gli alberi del bosco, si intrufola nei petali di “copihue” che nascono lentamente tra le sfumature di verde e infiammano i prati del campo di un rosso acceso. I raggi del giorno raggiungono il letto del fiume, in costante movimento e trasformazione, l’acqua brilla nel continuo gioco di scivolare tra le lisce superfici delle pietre dormienti che costruiscono le autostrade dei torrenti.
Ogni elemento si fonde l’uno con l’altro, seguendo accordi ancestrali di una convivenza che perdura nel tempo e accoglie gli spiriti e le energie della natura. Le strisce di bagliore, che scaldano e inondano di vita, entrano timidamente tra i rami intrecciati che costruiscono il tetto della ruka e rendono più visibili le traiettorie del fumo quasi nauseante ricoprendo questo edificio tradizionale mapuche. Il fuoco al centro continua ad ardere imperterrito, dando l’impressione di bruciare da tempi lontani senza aver mai perso l’ossigeno che alimenta la sua vita. Il risultato di questo mistero è una continua cupola di fumo, si sparge in ogni angolo e impregna i tronchi che sorreggono la struttura tra le paglie e i rami custodi dei confini di questo tempio antico. Il corpo lentamente si abitua a questa condizione, a fatica, mentre gli occhi piangono lacrime salate nel tentativo di lubrificarsi e resistere a questa foschia fumosa.
Un lieve venticello mi risveglia dal torpore e mi accarezza dolcemente il viso. Mi trovo sdraiato su un materasso di gomma piuma, a pancia in su mentre fisso il soffitto cercando gli spiragli di cielo che si intravedono tra i grovigli. Il mio corpo nudo e freddo è coperto da un lenzuolo fino alla base del collo, svestito dei miei indumenti respiro un po’ a fatica le esalazioni fumose e provo a centrarmi nel ricostruire il motivo per il quale mi trovo in questa condizione.
Qualche tempo prima ho avuto la possibilità di svolgere una visita dalla Machi Sandra, conosciuta in questo periodo durante il progetto. La figura della machi è uno dei simboli più importanti all’interno dell’organizzazione spirituale e medicinale del mondo mapuche, un ruolo significativo nella religione che si pone come intermediario tra il wallmapu e il mondo sovrannaturale ricevendo e detenendo poteri utili per governare e manovrare le forze spiritiche presenti nelle comunità.
La potenza spirituale e la forza politica di questa figura persiste nel mondo odierno, mantenendo fermo e accessibile il contatto tra il passato, presente e futuro, innalzandosi a simboli di lotta e resistenza contro ideologie, pensieri e persone che ne vorrebbero l’estinzione o, con accezioni meno brutali, la permanenza come mera questione folkloristica e mitologica.
Anche per questo, nel corso degli ultimi decenni, non tutte le comunità hanno la possibilità di continuare ad usufruire dei benefici di una machi, in alcuni lof (territori mapuche) questa figura è ormai scomparsa o si è lasciata influenzare dalle dinamiche prepotenti di un mondo che non conosce l’importanza degli spiriti ancestrali e del newen (l’energia della terra), e che trasforma queste autorità seguendo codici occidentali, minimizzandone l’importanza.
Diventare machi non è così immediato, tantomeno suscettibile a processi elettivi ai quali siamo abituati noi. Un machi o una machi non viene scelto/a per elezione, ma ne riceve un dono. Si dice che, alle volte, è una virtù plasmata nei sogni degli antenati, come presagio divino attraverso segni premonitori, altre volte la/il prescelto riceve dei messaggi fisici: una malattia, un infortunio che determinando un prima e un dopo rispetto al suo processo di vita, vanno a creare un solco nella sua storia. In questo momento, la persona in questione ha la possibilità di credere in questi segnali e così iniziare un processo di formazione per acquisire questo ruolo all’interno del proprio intorno; nel caso contrario, il rischio di rinnegare questa scelta divina può far si che la malattia perduri nel tempo, fino anche alla morte stessa.
E’ una responsabilità alla quale è difficile sottrarsi, banalmente può essere circoscritta ad una scelta di vita, ma racconta molto di più: un legame con la terra, gli antenati, gli spiriti e le energie dei luoghi ancestrali. Racconta la volontà di una cultura che continua a lottare, all’interno di un immaginario collettivo e di una frenesia di mondo che fa fatica ad accettare che esistano tutt’oggi queste magie, queste forme di comunità così intrecciate ad una spiritualità ormai quasi dimenticata.
Un fazzoletto di stoffa mi ricopre gli occhi, ma gli altri sensi sembrano come potenziati. Percepisco il freddo nel mio corpo, gli odori e i suoni che emergono dalla ruka. La machi Sandra si avvicina dolcemente e mi bagna con quello che ipotizzo possa essere un intruglio di acqua di sorgente, mescolata a sale marino e agua ardiente (distillato di alcol). Gli odori si mescolano, ma percepisco il pizzicchio dell’aceto che si introfula nelle narici e mi crea un piccolo fastidio.
Mi ricopre tutte le parti del corpo con questo miscuglio, lo fa passandomi il liquido attraverso dei rami di foglie native come se fosse una pittrice alle prese con il suo migliore quadro. Con delicatezza, cullandomi e facendomi il solletico. Mentre procede a dar colore al mio corpo, melodie armoniose escono dalla sua bocca. Canti di preghiere e orazioni in mapudungun accompagnano i suoi movimenti; ovviamente non ne capisco il senso, il significato, ma sento l’energia che mi invade, mi entra dentro da ogni angolo, nonostante i tentativi razionali e inconsci di barriere occidentali che continuano a far fatica a credere in questo momento, in ciò che mi sta accadendo. Il suono costante e ritmico del kultrun (tamburo mapuche) facilita a mantenere questa trance e unisce il suono delle parole e me le sbatte addosso, raggiungendo la mia umile anima.
Continuo a saltare da un mondo all’altro, un momento mi sento parte di tutto e ci credo, un battito di ciglia, un movimento brusco e torno distante, nel dubbio e nell’incertezza.
Cosa ci faccio qui? Cosa sta succedendo?
Qualche settimana prima, ho avuto il mio primo incontro con la machi.
Meg, la mia compagna di avventure, l’aveva conosciuta lo scorso anno, durante le varie visite nel territorio dove viviamo. Era rimasta in sospeso una visita da lei, nel suo rewe (centro cerimoniale). Una fortuna e una possibilità che non capita spesso, ancor di più perché fu lei stessa ad invitarla, a proporle una visita.
Le chiesi se potessi partecipare anche io. Non tanto perché sentissi la necessità specifica di monitorare un malessere fisico o psichico, ma spinto più da un desiderio egoistico di voler a tutti i costi approfittare di questa occasione. “Chissà quando mai mi ricapiterà questa occasione.” Pensai.
Ecco che quindi mi presentai all’appuntamento con questo bagaglio da colono europeo, un po’ fricchetone, pronto a ricevere tutto da questa emblematica figura mapuche.
La machi accettò senza problemi, probabilmente per il bel rapporto costruito con Meg durante l’ultimo anno, ma anche per la sua formazione più occidentale, per il suo passato a Santiago e per la sua giovane età.
Mi chiese di presentarmi all’incontro portando le mie prime urine della giornata in un vasetto.
Arrivato nel suo rewe, mi ricevette.
Ricorderò per sempre quella giornata perché mi creò un cortocircuito tra le mie emozioni e la mia mente razionale.
Entrando nel luogo sacro, seduto davanti al rewe mi chiese semplicemente il mio nome per intero, la mia provenienza e perché fossi lì. Poche e quasi banali informazioni.
Prese il vasetto, lo mosse un paio di volte. L’urina gialla creò una spirale all’interno del recipiente come un turbine. Si creò una schiuma che si depose sulla parte alta del liquido. Fece questo movimento un paio di volte e poi iniziò a sbattermi in faccia verità che pensavo inimmaginabili.
Visualizzando le mie urine stava creando un dialogo tra lei e gli spiriti.
Iniziò a parlare.
Senza avermi mai visto prima, senza conoscermi davvero mi raccontò delle parti di me: intime, segrete, custodite da tempo. Le tirò fuori una ad una, centrando il punto, scegliendo le parole più opportune, calibrando la forza dei fonemi.
Vennero fuori, in questo piccolo dialogo ultraterreno, delle parti di me che solo nella relazione con il mio terapeuta, in italia, ero riuscito a conoscere e far mie.
Mi spiazzò totalmente, in preda all’emozione qualche lacrima mi scese spontanea tra le guance, asciugata in un attimo dal sole cocente.
Alla fine della visita, come se fosse la cosa più normale al mondo, mi propose di partecipare ad una cerimonia per aiutarmi a far scomparire dalla mia anima alcune energie negative.
Incredulo, dubbioso, emozionato e profondamente provato, accettai. Mi sarei fatto aiutare dalle energie del Wallmapu e dall’arte spirituale che mi stava offrendo, avrei partecipato alla cerimonia dell’Ulutun.
Il cambio di ritmo del Kultrun mi fa sussultare.
Il continuo gioco di forze mi fa balzare tra un mondo spirituale, onirico e la mia mente fredda che cerca a tutti i costi di capire, di trovare un perché, analizzando il contesto, regalandomi proiezioni e cercando di stare in un processo di sospensione del giudizio. Per quanto mi sforzi di abbandonarmi, la mente continua a lavorare e mi ricorda con dolcezza le mie origini, le mie costruzioni sociali e culturali. Mi ricorda la distanza e l’ingombro che si porta dietro.
Cosa sto facendo? Dove sono?
Eppure sento anche io. Sento le energie che scorrono tra gli spazi bui della ruka. Sento il potere dei canti che entrano dalle orecchie e pulsano dentro. Sento la cura che mi sta donando la machi Sandra. La sento muoversi mentre mi accarezza il corpo con foglie e petali, la percepisco come machi, con il suo ruolo spirituale e politico, ma la verità è che entro in relazione con lei perché essere umano, con un corpo e un’anima. Forse poi non cosi diverso e distante dal mio.
La cerimonia finisce.
Non saprei definire quante ore siano passate. Potrebbero essere passati anche giorni interi o solo qualche minuto. Muovo i miei muscoli, mi riapproprio dei movimenti più elementari. E’ come risvegliarsi da un letargo.
Ci raduniamo attorno al fuoco, come se fossimo una famiglia, è difficile da descrivere, ma la sensazione è che qualcosa sia successo, qualcosa è cambiato in ognuno e ognuna di noi.
Con un’ingenuità docile attendo che sia la machi a raccontarmelo. Condiviamo insieme le sensazioni vissute, mentre lei ci aiuta a unire i pezzi e raccontarci cosa gli spiriti hanno annunciato. Ognuno e ognuna di noi ha avuto modo di aprirsi, di connettersi con un mondo che non conosciamo, un mondo a me sconosciuto, ma che mi ha accolto come sono senza pregiudizi, senza conoscermi.
Gli spiriti mi ricordano di chiedere permesso. Di ringraziare.
Salutare il fiume quando mi dona la freschezza delle sue acque, di accarezzare un albero mentre i suoni del vento che muovono le foglie mi accolgono nel bosco, di ringraziare le montagne quando si prestano a teatro di stupore e meraviglie.
Io lo rileggo in una forma ecologica, di sostenibilità ambientale, lo relaziono alla mia vita, al mio contesto. Un’altra volta mi ricordo da dove vengo. E’ difficile farne tesoro. E’ giusto così, mi dico. Sereno e grato.
Grazie Wallmapu.
Grazie Machi Sandra.
Grazie Mapu.
Una parte importante del mio essere qui è dovuta anche a queste esperienze. Nella curiosità di scoprire nuovi mondi, un’esistenza che procede con lentezza, nel contatto con la terra, nella continua relazione tra mondo terreno e mondo spirituale. Nel conoscere forme di vita diverse, né migliori né peggiori, semplicemente diverse, ma in fin dei conti portate avanti da donne e uomini che sentono e provano emozioni, sensazioni, come me.
Una terra che accoglie e invita a condividere. Un popolo che continua a lottare per mantenere le proprie tradizioni, la propria cosmovisione. Un popolo che non può essere sterminato, annichilito, relegato nelle carceri cilene da persone che non hanno avuto il coraggio di chiedere permesso, di riconoscere le proprie origini, di rispettare il prossimo e la natura che ci circonda. Una ferita ancora aperta di un governo, e più in là di una società intera, che ha bisogno di essere curata, di passarci la saliva come fosse una tigra ferita, di ricordare e raccontare la vera storia di queste comunità, di questa gente.
Una storia che non è ancora stata raccontata, ma che ha il bisogno di trovare le parole giuste per essere nominata.
Marichiweu!