La fine di un’era, di Noel Gazzano: guardare più in là delle proprie radici

Inizia con questo articolo la rubrica bisettimanale L’era della poesia, in cui vogliamo presentarvi l’Arte Resistente di Noel Gazzano, artista, performer e antropologa italoamericana. Cominciamo con una delle sue opere più intense: La fine di un’era, una performance che mette in atto un percorso di liberazione dal marchio della violenza. Come? Con la forza stravolgente della delicatezza, del raccoglimento, del silenzio.

 
Qual è il confine tra un momento ed il successivo? Cosa distingue una fine dal prossimo inizio? Come immaginiamo il nuovo orizzonte, nascosto tra le ceneri di un giorno appena tramontato?

Noel Gazzano, nella sua opera La fine di un’era, esplora il terreno incerto del termine, della caducità, della rovina, puntando gli occhi sull’opportunità di cambiamento che questo frangente si porta dietro. Non credo ci sarebbe potuto essere uno spunto più appropriato e spiazzante per inaugurare il ciclo d’incontri L’era della poesia, l’appuntamento bisettimanale di Aware dedicato alle opere dell’artista italoamericana. Iniziare scandagliando i fondali mesti e argillosi della fine, accendere la prima luce sull’assenza che porta in grembo l’aspettativa di ciò che ancora non è.

Durante il nostro incontro distante un oceano, abbiamo parlato della performance, di cosa nasconde e di quali sono i pensieri che l’hanno accompagnata. Un tuffo nella sua genesi e nello svolgimento che ha lasciato scoprire le parole non dette racchiuse in ogni singolo gesto.

La fine di un’era è un atto di sfida contro l’incomprensibile essenza della violenza. Noel sceglie il candore di una tunica da notte per affrontare il simbolo della brutalità per eccellenza: il fucile. Non un fucile qualsiasi, ma il fucile appartenuto al padre, reliquia di un passato rimasto sospeso nella memoria di figlia. Con spirito certosino, il fucile viene ricoperto da un filo di uncinetto, anche questo bianco, un anello alla volta, con una calma e un silenzio che di per sé rappresentano la distanza più profonda dall’arma da sparo. È la nemesi delle forme, un processo di trasformazione che disegna l’opposto delle linee originali.

Il grilletto, la báscula, la canna: l’arma cambia pelle divenendo un delicato lavoro di cucito, nascosto tra i nodi color sale. La mano esperta continua l’opera fino all’imprevedibile: il filo finisce all’altezza del calcio. Sembra la vittoria irrimediabile della brutalità, la prova che anche nella realtà soffice della performance la violenza trova lo spiraglio per resistere al cambiamento. Qualche secondo, Noel fissa la maglia completata a metà con sguardo incerto, fino a quando decide in un solo gesto di spogliarsi completamente e ultimare il lavoro con il candore pallido della tunica. Così l’opera trova il suo compimento. L’arma non è più un arma, ma un bozzolo di filo e tela. Noel ha compiuto la propria missione; con la trasformazione del fucile termina l’era della violenza, della forza, della oppressione. È l’inaugurazione di qualcosa di nuovo, un tempo diverso che trova nella nudità la propria genesi.

Con quest’opera Noel sembra suggerirci una strada, un percorso intonso per scoprire le possibilità nascoste dietro i paradigmi di violenza apparentemente pietrificati nella quotidianità. La delicatezza, la fragilità, la lentezza, sono i segni cardinali che ci conducono oltre la superficialità dell’apparenza, lì dove un fucile scompare in una nuvola di fili bianchi.

Una performance che chiama il pubblico a scoprirsi presente, resiliente, promotore di cambiamento anche e soprattutto laddove questo è più necessario. Noel ci chiede di scoprire i segni dell’abbrutimento e trasformarli in forme nuove. Rispondere al suono soffice di questo richiamo è un compito lasciato nelle mani di ognuno di noi.

Per approfondire chi è Noel Gazzano, vi rimandiamo al nostro articolo di presentazione: qui.

Potete seguire Noel anche sul suo sito ufficiale e sulla sua pagina Facebook.

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.