La promessa dello Scorpione bianco

Non so da quanto tempo non scrivo su questa sezione del blog, bucando l’appuntamento del venerdì, so solo che quando troppe cose si accavallano e rincorrono nel mio cervello allora il bisogno espressivo implode: è forte, urgente, ma non riesce a trovare la sua strada per diventare parola e innestare connessioni. Si trasforma in un buco nero, che tutto ingoia, mastica e risputa in qualche pezzo di universo. E non so dove quel tutto sia finito, perché dall’altra parte di un buco nero nessuno sa cosa c’è, nessuno l’ha mai visto. Provare tutto equivale a non provare niente, dice il personaggio di quel film, non ricordo quale (o forse era un libro?). A distanza di anni, so che non è proprio così. Semplicemente abbiamo l’impressione di essere vuoti, pensiamo di non aver nulla da dire perché non sappiamo come farlo.

Anche i buchi neri, però, raccontano storie. Basta imparare ad usare il linguaggio delle stelle.

È stata proprio un’altra forma di linguaggio ad arrivare in mio soccorso, qualche notte fa, aiutandomi in quest’opera di autodecifrazione, consegnandomi un codice per far parlare il mio buco nero. Un sogno. Seguitemi lì.

Nel sogno sono profondamente in ansia. Mi aggiro per una stanza, a piedi nudi, alla ricerca di qualcosa. Un senso di minaccia pesa sul mio corpo, le dita e le articolazioni mi fanno male, fa freddo, è buio. Le pareti sono piene di crepe, buche polverose e mi muovo tra rovine e vecchi oggetti. Infilo il dito in una fessura e, d’improvviso, qualcosa guizza veloce fuori e, con un movimento tremolante, si staglia luminoso nella penombra. Uno Scorpione. Bello, affusolato, si mostra con la sua corazza perlacea. È uno Scorpione bianco. Maestoso e spaventoso, sembra fatto d’argento e il suo aculeo risplende di luce propria, come una stella nell’oscurità. Mi gira la testa. Sono confusa. Sono spaventata da quell’apparizione improvvisa. Di scatto, afferro un mattone e lo scaglio contro quel corpo luminescente. Lo Scorpione non si muove, resta schiacciato da quel gesto rabbioso e cieco. Muore. L’ho ucciso, ma sono già pentita. Mi viene da piangere, mi guardo le mani. Il senso di minaccia non si è affievolito, anzi, è aumentato. Mi sento sola, in una stanza fredda, buia, che cade a pezzi. Allora apro gli occhi.

Chi mi conosce sa bene quanto peso abbiano per me sogni, simboli, archetipi e tutte quelle robe un po’ “mistiche” che quando provi a parlarne quasi sempre ti becchi una sonora presa in giro. Questo grande serbatoio immaginifico ha un’importanza fondamentale nella mia vita, mi ha sempre donato, per l’appunto, un linguaggio primordiale per comprendermi più a fondo e potermi raccontare all’altro. Allora mi metto subito alla ricerca del possibile significato di questo sogno.

Sognare uno Scorpione in genere è un cattivo presagio, è il segno di una profonda angoscia interiore, spesso collegata a paure ancestrali. Quest’animale porta con sé, da sempre, una simbologia connessa alla morte, all’oscurità, alla distruzione, a ciò che non vedi e non percepisci eppure è lì, nell’ombra, acquattato, pronto a fare la sua mossa. È una figurazione fortemente complessa, che ci parla dai regni paludosi dell’Oltretomba e dal freddo siderale plutonico. L’ambiguità è la sua natura, la fine il suo dono. Lo Scorpione vive nei luoghi dove nessuno mai guarderebbe, sprofondato nei liquami e nella fanghiglia densa, nell’humus dei frutti in decomposizione che marciscono e nutrono così il terreno dopo la stagione delle messi.

Eppure questa è solo una parte della storia. La seconda parte parla invece di trasformazione, rigenerazione, impulso creativo, mistero fecondo. Dopo l’estate arriva l’autunno, il mondo si raccoglie e scurisce, preparandosi al sonno mortifero dell’inverno, con la promessa, però, di una nuova primavera. Il ciclo continua e, quei luoghi paludosi apparentemente inerti, tombe immobili, si fanno incubatori di vita e di altri possibili futuri. Senza quel passaggio funebre, quello sprofondare nel trauma della fissità, le energie sarebbero state dissipate. Nessuna rigenerazione, nessun potenziamento.

E infatti, ecco che la mia ricerca approda al significato specifico dello Scorpione bianco. Quando la sua corazza assume questo colore, l’animale è appena uscito dalla muta, si è appena “rigenerato”. Sognare uno Scorpione di questo colore è in realtà positivo, perché indica la capacità rigenerativa, il bisogno di mutare, rinnovarsi e riemergere dopo aver ricalibrato le forze, sia fisiche che spirituali. È un tornare alla vita dopo aver scrutato l’abisso e abbandonato la vecchia pelle, ora malconcia e pesante, come un’armatura scalfita da troppe battaglie, ormai ostacolo alle nuove che si prospettano.

Tutto molto bello, se non fosse che nel mio sogno io quello Scorpione bianco lo uccido, mi dico. Ho rimuginato un giorno intero sul possibile significato di questo mio gesto. Non ho trovato spiegazioni incrociate, perciò ho tentato un esercizio di autoanalisi, chiamiamolo così. Mi sono guardata dentro, molto a fondo, nel mio buco nero personale, che nel frattempo, nella mia immaginazione, si era fatto interstizio di una stanza in rovina, crepa da cui quello scorpione aveva tentato di raggiungermi per consegnarmi un messaggio importante.

Allora ho capito. Ho ricordato tutte quelle volte in cui sono sprofondata in quella palude, ma abbandonandomi passiva, senza fiducia nella potenzialità rigenerativa del dolore. Ho ricordato la mia tenace abilità ad autosabotarmi, uccidendo con le mie stesse mani le promesse che non riesco a riconoscere, con cui non riesco a dialogare. Ho pensato a lungo a tutte quelle volte in cui le mie paure hanno preso il sopravvento, interrompendo quel ciclo di discesa e risalita, di inabissamento che diventa spinta propulsiva verso l’alto; a tutte quelle volte in cui ho intravisto un pericolo in una possibilità di trasformazione; al mio demone autodistruttivo che a volte torna a scalpitare, portandomi a schiacciare quello Scorpione bianco ancora, e ancora, e ancora.

Il momento che stiamo vivendo è complesso. Assomiglia a quella palude, a quella fanghiglia che rischia di bloccarci in una stasi distruttiva, non premessa per l’inizio di un nuovo ciclo, non humus fecondo, ma pozza ghiacciata. A questo sto pensando. È un momento delicato, in cui ogni demone sopito si ridesta e rischia di murarci vivi, ancora, di farci regredire. Parlo al plurale perché so che, tra chi legge, ci sarà qualcun* che empatizzerà con le mie parole, perché sta vivendo la stessa paura, perché sente di nuovo occhi, cuore e spirito rapprendersi e scricchiolare sotto il peso di un inverno che sembra lungo, infinito, definitivo.

Eppure lo Scorpione bianco viene a consegnarci una promessa di futuro. Viene a insegnarci che dopo una crisi segue sempre una mutazione che può essere feconda e luminosa, se abbiamo il coraggio di guardarla senza rinnegare la paura e la vulnerabilità che ci appartiene. Viene, con il suo corpo rinnovato, il suo aculeo di stelle, le sue squame metalliche, a ricordarci che le ferite possono essere fessure attraverso cui respirare, buchi neri che, divorando il cielo, generano nuovi universi.

 

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.