Orizzonti vicini: Tibetani

Il Tibet non è solo terra di neve e saggezza, ma molto di più. La millenaria cultura che si cela dietro al popolo tibetano è peò in grave pericolo.

Tibet: incanto e saggezza

Il pensiero comune vuole il Tibet come una terra incantata e abitata da saggi monaci. Ad uno sguardo superficiale si hanno molte prove per pensare ciò, ma approfondendo la conoscenza di quello spicchio di mondo noteremo altre diverse sfaccettature. Il popolo tibetano deriva da antichi nomadi che andarono ad abitare i confini nord-occidentali della Cina quasi duemila anni fa. Possiamo notare ancora oggi delle caratteristiche di quel passato nomade: le abilità di trattare il bestiame e le coltivazioni, ma soprattutto la capacità di abitare ambienti di notevole altitudine e in temperature molto basse. Dopo secoli di autonomia la regione divenne uno stato vassallo dell’Impero mongolo, nel XIII secolo, per poi passare in mano alla dinastia Ming, dal 1368 al 1644, e a quella Qing, dal 1644 al 1911. La nascita della Repubblica Cinese permise al Tibet di autoproclamarsi indipendente, avvalendosi delle sue millenarie particolarità culturali.
Chi segue questa rubrica da un po’, già conosce le “attenzioni” che il governo cinese riserva alle minoranze etniche. È il 1949 quando l’esercito cinese occupa le regioni tibetane, rendendo quegli altopiani incantanti parte del territorio cinese, e quei saggi monaci una tra le 56 etnie della Repubblica Popolare Cinese.

Bandiera su alte montagne

L’elevata altitudine causa spesso lievi malesseri ai viaggiatori che non sono abituati a tali altezze. Si tratta di 4500 mt. di altitudine media, in cui si appoggia la vita dei tibetani. L’Everest, il picco più alto del mondo, risiede proprio qui, ed è ovviamente una meta turistica molto ambita per chi vuole visitare il Tibet, ma non è l’unica. Per i tibetani la religione è una parte molto importante della loro vita: anche i luoghi naturali sono osservati sotto la lente della fede. Credono che le aree nevose siano abitate dalle divinità sulle montagne, e dai draghi nei laghi. Persino le rocce hanno uno spirito ultraterreno. Inoltre, se notate dei pellegrini girare intorno a questi luoghi sacri, non vi preoccupate; è così che i tibetani espiano i propri peccati. Le credenze del posto pongono il Monte Kailash in vetta: è la montagna sacra e centro del mondo per quattro religioni (Induismo, Buddhismo tibetano, Bin e Jainismo). Con i suoi 6638 mt. di altezza e innevato tutto l’anno, il Kailash è perennemente visitato da pellegrini provenienti da diverse nazioni. Sorge accanto un altro importante ritrovo religioso: il Lago Manasarovar. In tibetano significa “lago immortale di giada”, e si crede che immergersi nelle sue acque sia una benedizione. Quando le bellezze paesaggistiche naturali incontrano una cultura poetica come quella tibetana, si può solo rimanere incantati dal mondo fatato a cui si va incontro. Persino la bandiera del Tibet mostra connotazioni poetico-naturali.
È stata introdotta nel 1912 dal XIII Dalai Lama (capo religioso del Buddhismo tibetano) ed è il risultato dell’unione delle bandiere militari di alcune province. È densa di simboli. I due leoni di montagna rappresentano i poteri temporale e spirituale; essi reggono la ruota dello Yin e Yang. In alto, i tre fiammeggianti gioielli supremi del Buddhismo (il Buddha, il Dharma e il Sangha); il tutto inscritto in un triangolo bianco che rappresenta una montagna innevata. Il sole sorgente è simbolo di gioia, e diffonde sei raggi rossi in un cielo blu scuro, metafora delle sei stirpi originarie del popolo tibetano. Il bordo dorato su tre lati simboleggia il diffondersi dell’insegnamento del Buddha.
Ora la bandiera tibetana è proibita in Cina, perché accusata di essere simbolo del separatismo. Malgrado ciò, continua a sventolare da decenni, anche in esilio.

Bandiera tibetana
Bandiera del Tibet// credits: bandiere.it

Buddhismo tibetano

Secondo la leggenda il 28° re del Tibet, Lhatotori Nyentsen, sognò un sacro tesoro che cadeva dal cielo. Al suo interno vi erano contenuti un Sutra buddhista (ovvero un breve aforisma sapienziale), alcuni Mantra (cioè una formula ripetitiva usata nella meditazione) e oggetti religiosi vari. A causa della scarsa popolarità dell’alfabeto tibetano che rendeva indecifrabili i tesori, il buddhismo attese di entrare con costanza nel Tibet fino al regno di Songtsen Gampo (VII secolo) che sposò due principesse buddhiste. Quello che si intende ora per Buddhismo tibetano, è quello relativo alla scuola Gelugpa chiamata anche dei Berretti Gialli, a causa del particolare copricapo giallo dei monaci. Il Dalai Lama è il capo spirituale proprio di questa corrente. Non è facile comprendere al meglio la vita dei monaci. La loro routine quotidiana è formata da precise pratiche, semplici ma incredibilmente complicate se si vuole provare a farle correttamente. La difficoltà di comprensione deriva anche dalla riservatezza con cui questi religiosi difendono la propria cultura. Si può visitare un monastero tibetano, sì, ma con precisi permessi e dovute accortezze.

I monasteri e il rispetto

La maggior parte dei monasteri aperti ai turisti sono pur sempre luoghi sacri, con delle precise regole da rispettare, soprattutto se si è viaggiatori in cerca di una bella foto. Anche perché le foto sono proibite in quasi tutti i luoghi sacri, quindi se state programmando un viaggio in Tibet, sappiate che non potrete instagrammare la statua di Buddha. In realtà non si può neanche direttamente indicare con il dito. Oltre a questo è bene ricordare un abbigliamento consono, ma soprattutto non disturbare o interrompere nessuna cerimonia o rito sacro a cui si assiste. Datemi retta, spegnete i cellulari e non ve ne pentirete.
Perché un monastero tibetano non è un palazzo qualsiasi. L’intera storia e la cultura di questa terra tappezzano le mura dei monasteri e dei templi. Questi luoghi fungono inoltre da scuole, biblioteche e cliniche mediche; quindi varcare la soglia di un monastero significa vestirsi degli stessi panni dei tibetani.
L’attrazione per gli spazi aperti e, soprattutto, per le montagne, si deve anche al pensiero che vede questi luoghi più vicini al trascendente. Il monastero di Rongbuk è il santuario più alto al mondo, ed è posto vicino al Campo Base dell’Everest (parliamo di 5154 mt. di altitudine). Ma il monachesimo tibetano non è prettamente maschile; lo stesso Rongbuk ospita sia monaci che monache. Non si è abituati a pensare a delle monache tibetane, e forse sarebbe ora di uscire da questo limite. Il monastero femminile di Xiongse ne è un esempio molto pratico. Il tempio più importante è quello di Jokhang, dove c’è la statua più sacra per i tibetani che raffigura a grandezza naturale il Buddha seduto. Per questo motivo il Jokhang è considerato “cuore del mondo”.

Monaco tibetano
Un monaco tibetano intento nella meditazione// credits: simonetalamo.it

Etichetta e buona educazione

Altra nota importante da aggiungere è la reincarnazione. I tibetani vedono le anime dei parenti passare da questa vita ad un’altra, e per onorare questo passaggio si celebrano feste e riti in cui è uso donare regali alla famiglia. Che sia un battesimo o un funerale, è bene anche che si sia un Lama di alto rango a presenziare il passaggio dell’anima. Uscendo dall’ambito religioso, dei tibetani conosciamo la loro accondiscendenza che li rende uno dei popoli con cui è più facile andare d’accordo. Il quieto vivere è dato anche dall’etichetta che è ben utilizzare con loro. In queste regole rientra quella di non parlare di politica in loro presenza, dato che l’argomento è molto scottante da qualche decennio a questa parte. Ci vuole discrezione in Tibet: non si parla con dei Lama della loro vita e della loro religione, non si entra nei monasteri senza permesso e non ci si può fumare; non si cammina davanti agli anziani del posto né si calpesta la soglia della porta quando si entra in una casa. Bisogna fare attenzione anche a tavola, dove è maleducazione riempirsi la bocca o essere troppo rumorosi nel consumo di alimenti. Inoltre, è bene prendere gli oggetti offerti dal padrone di casa con entrambe le mani, denotando rispetto e apprezzamento.
Sì lo so, sono parecchie regole, ma il rispetto di esse porta il visitatore tra le braccia di una cultura ricca e fascinosa che non smette mai di stupire.

L’Arte e l’Ache Lhamo

In termini artistici, la religione è l’oggetto predominante anche in questo caso. I dipinti Thangka sono apparsi nel Tibet attorno al X secolo, e sono forme di sincretismo tra il dipinto cinese su rotolo e le pitture nepalesi e kashmiri. Raffigurano motivi tradizionali di natura religiosa, astrologica e teologica. L’architettura tibetana risente di influssi indiani, e la sua particolarità principale è quella di cercare sempre luoghi elevati o soleggiati per la questione di vicinanza al cielo. Pietre, legno, cemento e terra formano gli straordinari edifici che possiamo osservare sui picchi montani. Le numerose finestre fanno entrare parecchia luce, così da andare ad ovviare il problema del poco combustibile che servirebbe ad illuminazione e riscaldamento.
Interessante è l’arte del teatro. L’opera popolare tibetana, nota come Ache Lhamo, ovvero “dea sorella”, è una combinazione di danze, cantilene e canzoni. Fondata nel XIV secolo da Thangthong Gyalpo, un Lama costruttore di ponti che aveva bisogno di fondi per le sue costruzioni. Gyalpo, insieme a sette giovani da lui assoldate, mise in scena la prima rappresentazione di questo tipo che in genere rientra nel genere drammatico. Il repertorio è tratto da narrazioni buddhiste e dalla storia tibetana, e i personaggi sono solti indossare maschere con vivaci colori a seconda di ciò che si vuole rappresentare. Il rosso simboleggia il re, il giallo indica una divinità o un Lama. Questa tradizione, che vede un rito purificatorio e di benedizione sia all’inizio che alla fine del dramma, è ormai continua da 700 anni ed è un must delle festività tibetane.

Tibet (1)
Piccoli tibetani in vesti tradizionali// credits: mirabiletibet.com

Le curiosità del Losar

Tra le tante feste locali o della tradizione monastica, spiccano lo Shoton festival, in cui viene dispiegato un gigantesco dipinto del Buddha, e il Capodanno Tibetano.
Si chiama Losar, di cui ‘Lo’ sta per “anno” e ‘Sar’ significa “nuovo”. Viene celebrato per 15 giorni tra Dicembre e gennaio, in cui i primi tre giorni rappresentano i festeggiamenti più importanti. Deriva da l’antica usanza pre-buddhista di tenere, ogni inverno, una cerimonia spirituale nella quale il popolo offriva grandi quantità di incenso agli spiriti e alle divinità. Leggenda vuole che quando una vecchia donna di nome Belma introdusse il conteggio del tempo basato sulle fasi di luna, la cerimonia divenne festival religioso annuale. Il Losar cade il primo giorno del mese nuovo, ma i festeggiamenti partono già dal ventinovesimo giorno del dodicesimo mese, in accordo col calendario tibetano. Nei monasteri, ma anche nelle case, è uso passare la viglia di Capodanno pulendo le stanze e gli interi palazzi. I monaci praticano anche una particolare tradizione culinaria: cucinano delle polpette di pastella con vari materiali, commestibili e non, nascosti all’interno. Esempi sono il peperoncino, la seta, il sale, il carbone. L’oggetto trovato da ogni persona all’interno della sua polpetta rappresenta il suo carattere. Il peperoncino indica loquacità, gli ingredienti di colore bianco, come il sale o la lana o il riso, sono portatori di buona sorte; il carbone ha lo stesso significato di quello che viene messo nelle calzette durante l’Epifania. Fuori dai monasteri, il primo giorno del popolo vede le donne alzarsi molto presto per far bollire una pentola di vino d’orzo per la famiglia. Poi, la donna si siede alla finestra in attesa del primo raggio di sole dell’anno. Arrivato il raggio, la donna prende un secchio e corre verso il fiume più vicino per prendere il primo secchio d’acqua dell’anno, che è considerato come il più sacro. Diventa quasi una corsa perché la famiglia che per prima si aggiudica l’acqua più limpida dell’anno è benedetta dalla buona sorte per tutti i dodici mesi del calendario.
Oltre a queste curiosità, il Losar è un avvincente susseguirsi di danze, musiche e canti. Colori, maschere e cerimonie calpestano le vie, e il boato dei petardi contribuisce a scacciare i demoni dalla terra in augurio del nuovo anno che sta arrivando.

Losar
Mascherata durante il Losar// credits: tibetpedia.com

Sangue sulle nevi

Il Tibet non è solo terra di pace, come vorrebbe. La realtà è cruda, e ha visto la neve dei monti Himalayani coprirsi spesso di rosso sangue. Il popolo tibetano è stato vittima, negli anni, della repressione cinese prima comunista ora capitalista. In mezzo secolo si calcolano quasi un milione di tibetani caduti e la distruzione del 90% del patrimonio artistico. Tutto questo nell’omertà mediatica e internazionale. Ma andiamo per gradi.
Nel 1950 la repubblica Popolare Cinese invade il Tibet, violando la legge internazionale. La disparità di forze militari rese un facile vincitore che fece piazza pulita di popolazione civile e di villaggi e monasteri. Si può parlare anche in questo caso di genocidio: uno dei tanti sottostimato dal resto del mondo, che però avrà risonanza storica proprio come tutti gli altri. L’attacco cinese causò la ribellione tibetana, nonostante le varie proposte pacifiche avanzate dal Dalai Lama, che nel 1959 fu costretto a fuggire con 100.000 seguaci abbandonando la sua terra. Il 10 Marzo 1959, prima della scacciata del Dalai e dei suoi fedeli, una rivolta nazionale portò alla morte 87.000 civili. In India si fondò un governo tibetano esiliato, dove attualmente abitano più di 135.000 unità tibetane di rifugiati; il numero è destinato a salire.
L’Amministrazione Centrale Tibetana (CTA: Central Tibet Administration), nota come “Governo Tibetano in esilio”, rappresenta il centro del potere tibetano ed ha sede a Dharamsala, India, dopo essere stato dichiarato illegale in territorio cinese. Ha la funzione principale di sostenere tutti gli esuli, amministrare i campi profughi e gli insediamenti permanenti. Oltre a ciò si preoccupa di preservare l’importante cultura tibetana e promuovere l’istruzione della sua gente. Un lavoro faticoso, se portato avanti lontano dalle proprie radici.

La disumanità cinese

La Cina si è appropriata delle ricchezze naturali del Tibet e ancora oggi ne sfrutta le meravigli naturali e le risorse. Per non parlare dell’uso infimo che ne fa come discarica di rifiuti nucleari, che con la deforestazione massiccia hanno causato danni irreversibili al patrimonio ambientale. Ci sono 500.000 soldati cinesi in Tibet, perché ogni forma di ribellione vogliono bloccarla sul nascere, ma comunque la popolazione tibetana che ancora cerca di sopravvivere sul territorio nazionale vive di altri problemi. È stata introdotta la sterilizzazione forza delle donne tibetane, per impedire la continuazione dell’etnia. Pratica degna del più fervente nazismo. La disumanità cinese non finisce qua. Gli autoctoni vengono continuamente deportati e sostituiti con l’etnia Han, la maggioritaria in Cina. I deportati vengono rinchiusi nei Laogai, i famigerati campi di concentramento cinesi che ho già menzionato parlando degli Uiguri (link –> ‘Orizzonti vicini: Uiguri’ ), dove le telecamere e i giornalisti non sono ammessi. Non basterebbe una sola inchiesta per far capire cosa succede lì dentro. Chi rimane a piede libero è discriminato, e non ha la possibilità di utilizzare la lingua tibetana, di vestire con i propri abiti o di pregare. Tutto ciò che ricorda il Tibet è divieto. Alla lista dei crimini contro l’umanità, aggiungiamo il “Thamzing”, o “seduta di rieducazione”, durante la quale i cinesi costringono i tibetani ad auto accusarsi di crimini non commessi. I bambini vengono spesso obbligati ad accusare i genitori. Esistono casi di genitori costretti ad assistere all’esecuzione dei propri figli, o addirittura obbligati a pagare i proiettili usati per uccidere i cosiddetti “elementi antisociali”. La brutalità di queste pratiche fa venire i brividi a chi scrive, e lascia ancora più angoscia sapere che le istituzioni internazionali chiudono gli occhi a cotanto schifo. Pechino, manco a dirlo, nega l’esistenza di una “questione tibetana”. Il Dalai Lama ha soventemente provato a richiedere la smilitarizzazione del Tibet, con il proposito di trasformarlo in zona di pace. L’obiettivo del capo tibetano è quello di far cessare l’immigrazione dei tibetani, ormai minoranza sulla loro terra. Ad ogni richiesta di confronto, o quantomeno di avvicinamento tra le parti, Pechino non ha mai dato risposta, evidenziando una volta di più che il governo cinese è un mostro della società moderna che deve essere fermato. Ne va della sopravvivenza di milioni di persone; di decine di etnie e culture.

FREE TIBET

Surreale pensare come quell’ immaginario occidentale che vede il monaco tibetano sui monti a meditare, è in realtà lontanissimo dall’attuale reale situazione. Da anni i monaci tibetani si danno fuoco protestando contro la repressione della propria terra. Da troppo tempo i tibetani ardono vivi per rivendicare il possesso della propria, vitale e innata, cultura. Quella cultura di paesaggi mirabolanti e poetiche accezioni. Quella cultura che ora sanguina sotto il piede prepotente della Cina.
“Free Tibet” non è solo un grido, è un bisogno di ogni umano.

Free Tibet
Tibetano in protesta con la sciarpa recante la scritta “Free Tibet”// credits: rfa.org

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Immagine in evidenza:
Vista del Palazzo del Potala, Tibet// credits: iltk.org

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.