Quando sei anni sono più di cinque. Una storia di fratellanza e malnutrizione dall’Afghanistan

Nel sud dell’Afghanistan, la ong INTERSOS interviene con progetti di lotta alla malnutrizione e salute di base. L’estrema fragilità del contesto e la grave crisi umanitaria impongono costantemente scelte drammatiche.

La manina soffice si apre in piccoli scatti ritmici ogni volta che lo sguardo stanco del fratello si gira a incontrare il suo. Sembra un rimpallo di voci mute, uno scambio d’intesa che non ha bisogno di parole per raggiungere lo scopo. 

Sguardo – manina che si stira.

Sguardo – manina che si stira,

a lasciar andare un saluto che la lingua di neonato non sa ancora pronunciare. 

Y. ha appena sei anni. Negli occhi scuri ha scritta a caratteri cubitali l’indolenza smunta di una malnutrizione che è divenuta cronica. 

Come lui, sono decine i bambini cresciuti tra le onde brulle del deserto di Qalat, nella provincia di Zabul, che anni di conflitto e siccità hanno condannato a una apatia lenta e profonda, capace di confondere le linee tonde del volto di bambino con i tratti secchi di un piccolo adulto. 

Ha raggiunto l’ospedale della città tra gli strattoni pazienti della mamma, il fratello più piccolo di appena nove mesi aggrappato al braccio coperto dal panno color cielo del burqa. 

Anche O. è malnutrito. Il braccialetto del MUAC avvolto sul bicipite minuscolo si è fermato inesorabile sulla linea rossa che segna lo stato severo della malattia, confermando quello che le guance gonfie di edema e i capelli radi avevano reso chiaro già al primo colpo d’occhio.

Sguardo – manina che si stira.

Sguardo – manina che si stira.

Il gioco di ping pong tra i due continua per un po’ fino a quando l’infermiera nutrizionista di INTERSOS si avvicina alla mamma e con le pupille fisse sulla grata stretta del burqa comunica che il reparto può accogliere solo O., i posti letto sono già tutti pieni e Y. ha superato i cinque anni, l’età massima per entrare nel programma di terapia nutrizionale intensiva. 

Dopo quella età la malnutrizione raggiunge un livello di cronicità che è difficile se non impossibile da eradicare. Di fronte a una necessità continua, sparsa come un segno nero tra i villaggi della regione, l’utopia di salvare ogni bambino evapora nel drammatico esercizio quotidiano di una scelta obbligata

Sei anni sono più di cinque – e forse ne ha anche più di sei viste le gambe lunghe e ossute. 

Tanto basta per lasciarlo lì, silenzioso e docile, a fare i conti con i frammenti rotti di una speranza che non ha ancora conosciuto. 

Sguardo – manina che si stira.

Sguardo – manina che si stira.

Il capo coperto dal burqa alla notizia fa un piccolo cenno di assenso e scende impercettibilmente verso Y. Il tempo di un attimo, quanto basta per ripiegare la realtà e farne un ricordo da lasciar andare come chissà quanti altri. 

Poi tira su la fronte e senza una parola allunga O. tra le mani dell’infermiera per completare il check-up medico. 

Y. e O. si scambiano uno sguardo di arrivederci prima che O. si perda dietro ai vetri scuri dell’ambulatorio con un leggero mugolio a raccontarne il disappunto. 

La manina si stende in un ultimo saluto. Le pupille scure di Y. si accendono per un secondo come a voler stampare sul palmo aperto l’augurio della buona sorte, almeno per lui. 

La mamma si avvicina e ancora senza dire una parola gli spazzola il ciuffo ingrigito di sabbia con le dita. Poi si volta e a passi lunghi va verso l’ambulatorio dove il mugolio si è fatto un pianto costante, i lazzi del burqa che disegnano una scia di notte alle spalle.

Y. rimane lì, in piedi, solo, con le pupille aperte sul corridoio come a cercare l’ultimo rimpallo nella manina del fratello. Gli accessi di pianto divenuto isterico lasciano intendere che ci vorrà ancora un po’. 

Allunga allora un paio di passi e con una calma senza pretese si appoggia al muro col mento steso sulle ginocchia ripiegate. 

Lo sguardo rimane incollato sulla porta a vetri scuri dell’ambulatorio. 

Aspetta.

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.