Quarantena senza stigma / di nuovo ferma

Sono ferma di nuovo, costretta tra pareti che sembrano restringersi giorno dopo giorno, senza alcuna possibilità di alleviare il senso di asfissia che inizia a salirmi nel cranio. Sì, proprio lì, in testa, lì dove ha sede e spazio il mio respiro incrinato, lì dove si è interrotto troppe volte e altrettante è ripartito. Mentre scrivo ho le dita rigide, mi fanno male. Sono giorni che, scherzandoci un po’ su, mi prendo in giro con la mia coinquilina sul fatto che non ce la faccio ad aprire nemmeno lo yogurt, perché non riesco a fare pressione con le mani. Guardo questo schermo e sento la nausea sbattermi contro lo stomaco a ondate e risalire, arrampicandosi tra le costole per raggiungere la gabbia toracica e mischiarsi al tamburellare frenetico del cuore.

Un’ansia diffusa, paludosa, percorre le corsie di nervi e s’ingoia queste giornate placide, come non faceva da un po’, non così.  C’è questa sensazione sparsa nell’aria, sfuggente e tangibile allo stesso tempo, di qualcosa di definitivo e pesante, come di attimi che si trascinano dentro il cuore del tempo il germe di un cambiamento radicale e sconvolgente – in peggio, in meglio, non sappiamo. Se chiudo gli occhi immagino uno steccato massiccio e rozzo posto tra l’ora e il dopo, tra il qui e l’oltre, un confine che quando varcheremo non sarà più ripercorribile a ritroso.

Che ci sarà oltre quel confine? Come mi ritroverò dall’altra parte?

Ho paura. Ho paura di tornare indietro. Ho paura di buttare al cesso anni di progressi e miglioramenti che mi sono costati fatica e dolore, perché ad oggi mi vedo costretta da una forza esterna e implacabile a rivivere la stessa condizione dalla quale ho cercato per gran parte della mia vita di tirarmi fuori. So che non sono l’unica, so che molti e molte di noi si trovano in questa paradossale situazione di margine. Con un piede lì dove i bordi iniziano a sfilacciarsi, il passato sembra riemergere, tutto diventa un flash-back paralizzante e straniante. Respiro.

Affrontare questa immobilità forzata che mi riporta col pensiero a tempi in cui era l’unica dimensione sarà una sfida sfiancante, mi dico. Una prova da affrontare e superare con le armi e le consapevolezze che nel tempo ho costruito per imparare a gestire l’instabilità e la precarietà di una vita vissuta con la depressione come compagna e nemica silente delle mie giornate. Chiudermi nel mio bunker mentale è un pericolo. Non avere troppe “distrazioni” è un pericolo, come lo è stato in altri momenti averne troppe. Questo fermarmi obbligato non sa di occasione per riflettere, per guardarmi dentro, per pensare alle cose importanti della vita. Suona arrogante? Forse. Ma ora mi sento così. Non sarà questo il senso che tirerò fuori da tutto ciò, credo, né per me né per chi come me si trova a combattere da sempre contro la propria testa, ma anche il proprio corpo. Per chi come me di tempo per riflettere, pensare, criticarsi e modificarsi ne ha sempre avuto fin troppo. Per chi come me ha sempre rincorso l’obbiettivo opposto: uscire da sé, andare lì fuori, imparare la leggerezza e il sorriso.

Non so che senso avrà questo tempo. Per me, intendo. Per chi è come me. Probabilmente lo scoprirò e lo scopriremo alla fine. Forse è un senso da inventare ancora. O forse sarà un nuovo sguardo su noi e il mondo. O magari sarà lo stesso sguardo imparato nel tempo, in tutto questo tempo trascorso a demolirci e ricostruirci tra le crepe sparse, ma impreziosito da qualcosa in più, qualcosa a cui oggi non so dare un nome. Forse.

Se la paura appartiene a tutti in questo momento e non esiste certo una scala di maggiore e minore importanza o legittimità in cui inserirla, essa avrà sicuramente diverse sfaccettature e angolazioni nelle nostre vite differenti. Perciò vorrei dire a chi mi sta leggendo e condivide con me le stesse paure: non sei solo, non sei sola, e questo ora sembra niente, ma è importante. Saperlo è importante. E a chi mi sta leggendo e invece non vive la mia stessa situazione: siate gentili, siate meno pronti a giudicare e soppesare le reazioni e le apparenze, perché ognuno ha i propri modi – visibili o invisibili – di affrontare l’angoscia e il panico e nessuno sa con certezza cosa ci sia nel cuore e nella testa dell’altro. A volte ciò che sembra superficialità, ciò che appare come fuori posto e fuori luogo, non abbastanza serio, non abbastanza importante, nasconde invece ciò che, in fondo, ci accomuna tutti e tutte come specie: meccanismi di sopravvivenza.

Un abbraccio virtuale, ma vero.

 

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[Immagine in evidenza: @shazawajjokh]

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