Storie di ordinaria povertà

Tre storie per riflettere sulla fragilità e durezza che accompagna le vite di chi abita l'ordinaria povertà dell'area rurale congolese.

Tre storie, tre racconti, tre piccoli drammi che si consumano nel silenzio di una rassegnazione lunga secoli. Guglielmo, volontario per AMKA Onlus a Lubumbashi (RDC), ci invita a riflettere sulla fragilità che accompagna le vite di chi abita l’ordinaria povertà dell’area rurale congolese e sul significato che queste storie assumono quando incrociano le nostre in Europa.

Il sogno di Ghilè

Ghilè ha trentatré anni e una bicicletta senza sellino con cui due volte la settimana si mette in marcia alle cinque del mattino con il carico di carbone preparato il giorno prima.

Dal villaggio al primo mercato in città la strada è di venti chilometri. I primi sono quasi piacevoli, ma quando il sole si alza a picco i trenta chili di peso si fanno sentire tutti sulle braccia e a malapena riesce ad alzare gli occhi per guardare in avanti.

Segue il bordo della strada e capisce di essere arrivato quando sente il tonfo dei sacchi di iuta scaricati dai camion.

Guadagna quattro dollari per ogni sacco da cinque chili di carbone. Vorrebbe riuscire a portarne di più ma poi ha paura che le gomme delle ruote consumate non reggano.

A casa lo aspettano la moglie ed i cinque figli. Quando va bene torna con un sacco di farina di mais per il fufu della settimana. A volta riesce a riportare addirittura la farina di frumento, per preparare i bignè che piacciono tanti ai più piccoli.

Il figlio grande frequenta la scuola di AMKA a Mose. Sogna che un giorno possa frequentare l’università in città e scampare alla sua sorte.

Nilla durante la visita nutrizionale di AMKA Onlus.
Nilla durante la visita nutrizionale di AMKA Onlus.

Le guance di Nilla

Nilla ha tre anni, una pelle morbida da peluche e pochi capelli arruffati in testa.

Gli occhi vispi sono circondati da piccole occhiaie beige e un leggero alone di tristezza che male s’intona con le guance molli come palloncini al sole. Ci raggiunge per le visite nutrizionali nel suo villaggio di Tshamba, ogni volta, con la mamma al fianco e le scarpine nero lucido della festa.

Non serve pesarla e misurare il diametro del braccio per capire che è gravemente malnutrita, basta uno sguardo alla pancia gonfia e alle gambine deboli da airone.

Vive in una capanna nel mezzo del nulla, due stanze e un tetto di paglia condiviso con altri sei fratelli, con pochi stracci buttati a terra come letto. I genitori provano a sfamare le sette bocche lavorando nei campi vicino al villaggio ma, da quando i militari sono venuti dalla città a delimitare gran parte della terra chiamandola privata, i raccolti non bastano più.

Nilla ha tre anni e i segni di una fame inconsapevole scavati poco sopra le guance, molli come palloncini al sole.

Solange e le sue bambine, mentre dormono sul battuto dell'ingesso al centro di salute di Kanyaka gestito da AMKA Onlus.
Solange e le sue bambine, mentre dormono sul battuto dell’ingesso al centro di salute di Kanyaka gestito da AMKA Onlus.

Il sorriso di Solange

Solange ha ventinove anni ed è venuta al centro di salute di Kanyaka quando le sue due bambine avevano già i brividi della febbre tifoide. Nella pancia la terza bambina, a meno di due mesi dal parto, risponde alla sua irrequietezza senza traccia scalciando piano.

Non è abituata a dormire su un letto vero e nei pomeriggi di caldo torrido preferisce stendersi sul battuto dell’ingresso con le bambine al fianco, dice che così è più fresco. Che il medico si rassegni.

Il marito l’ha lasciata senza dare giustificazioni, probabilmente per trascorrere il periodo delle piogge dalla prima moglie e tornare quando sarà il tempo del raccolto. In Congo funziona così.

Sola, confessa di non avere i venti dollari per pagare le cure delle figlie. L’ospedale l’aiuterà gratuitamente, basta che accetti di dormire sul letto del reparto.

Fa finta di promettere che sarà così, accennando un leggero sorriso ironico.

 

Le donne del villaggio di Shinga, a sud di Lubumbashi.
Le donne del villaggio di Shinga, a sud di Lubumbashi.

Storie ordinarie

Di storie così, semplici e vere, ne potrei raccontare a decine. Sono storie che mi hanno insegnato a guardare la realtà oltre la scorza dell’apparenza. Sono storie comuni che ne ricordano tante altre.

Ad esempio, qualche settimana fa leggevo della morte per annegamento di Joseph, un bambino di sei mesi della Guinea, mentre tentava di raggiungere l’Europa in braccio alla mamma.

Qualche giorno prima, ero rimasto altrettanto scosso dalla notizia della morte di sette migranti nordafricani che avevano scelto di raggiungere l’Italia facendo la strada lunga dei Balcani. Chiusi su un container che speravano finisse a Milano sono stati caricati su una nave cargo diretta a Buenos Aires e lì sono morti per fame e sete nel mese di navigazione.

La cosa che più mi ferisce, oltre alla tragedia umana, è il modo in cui questa viene raccontata.

Questi volti sono etichettati dai più come “migranti economici”, persone che non scappano da guerre, non scappano da persecuzioni, ma cercano ricchezza.

Ogni volta che sento parole del genere io chiudo gli occhi e ripenso a Nilla, Solange e Ghilè, alla loro guerra antica fatta di muta rassegnazione, al futuro cieco a cui vanno incontro con un coraggio indolente. Penso a loro e sento addosso tutto il peso di una ingiustizia senza fine.

Mi rendo conto allora che per cambiare il mondo in meglio bisogna cominciare da due cose: le storie e le parole. Raccontare ed ascoltare le prime può aiutarci a cambiare le seconde, fino ad arrivare a scoprire cosa c’è oltre la superficie.

Esercitarsi nell’empatia di certo non darà una vita più dignitosa a persone come Nilla, Solange e Ghilè, ma potrebbe dare giustizia alle loro storie dimenticate.

Nella finestra aperta da questa redenzione potrà nascere la possibilità di farci persone migliori, capaci di riconoscere l’umanità anche quando ha un altro colore.

 

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[Foto di copertina: Ghilè mentre spinge la sua bicicletta carica di carbone verso il mercato di Lubumbashi]

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.