Tornare alle origini per ritrovarsi: un viaggio nella musica di Rokeya

Alessandra Jabed, in arte Rokeya, è stata ospite dell’ultimo appuntamento con le dirette #DiretteResistenti. Producer, dj, performer e graphic designer, Rokeya vive intensamente il suo rapporto con la musica, che diventa terapeutica, con le sue origini e con la natura. I suoi lavori portano nell’anima la forza delle sue esperienze, ogni traccia è il risultato di una vita in continua ricerca della bellezza.

Ciao Rokeya! Grazie per essere stata con noi per l’ultima puntata di #DiretteResistenti su questo lungomare che abbiamo immaginato. Abbiamo creato dei mondi, come fai tu con la tua musica. Ci parli del tuo primo disco PASEO COSMICO, uscito a febbraio 2019 per Timpan Records?

Hola Aware! Sono davvero felice di essere stata coinvolta  e senza alcun dubbio mi sono sentita accolta e a “casa”.
“Paseo Cosmico” è un concept album di 12 tracce: ogni traccia un pianeta, ogni pianeta un macrocosmo pulsante di vibrazioni multietniche. Un viaggio cosmico all’interno di un universo fatto di suoni antichi, sogni remoti e visualizzazioni future. Un lavoro viscerale che si fonda sulla contaminazione musicale di strumenti ancestrali contrapposti a quelli digitali. Una produzione che è puro istinto, lo stesso delle tribù: un rito per connettersi al proprio io e non solo.

Nelle mie vene scorre in parte la cultura indiana, nonostante non sia né cresciuta in India e tantomeno educata secondo tali tradizioni. La bellezza della musica è che inconsciamente l’utilizzo nell’album di molti strumenti indiani ha creato una sorta  di riconnessione con i miei avi. Un album nato in 6 mesi, in un momento particolare, divenendo un’esigenza, un flusso, una medicina.
Paseo Cosmico vuole invitare chi lo ascolta a prenderne parte ballando, liber*, come se nessuno ti stesse guardando.

Sei nata a Londra, hai vissuto a Granada, ora sei ad Ancona. C’è un posto che chiami casa? 

Granada è il posto che sento “casa” totalmente e non nego di sentirne quotidianamente la mancanza. Posso considerare questa città magica, una sorta di tempio, ogni volta che ci torno e mi fermo per un periodo, mi nutre profondamente. I miei 18 anni li ho finiti proprio lì, seduta nel Mirador de San Nicolas, guardando l’Alhambra. Fino ad allora , cresciuta in Italia, non avevo mai accettato le mie origini indiane e proprio nella mia “Granà” per la prima volta ho visto la mia bellezza nel fare parte di due culture opposte. Granada stessa è il frutto della cultura araba intrecciata a quella ispanica e la sua enorme bellezza deriva proprio da questa contaminazione. Sono tornata anni dopo e ci ho vissuto un paio di anni meravigliosi, proprio nel quartiere arabo del Albayzín, guadagnandomi anche l’appellativo di “chica del barrio”. Musicalmente, posso considerare quel periodo fondamentale: è proprio allora che ho scoperto la cumbia ed esplorato il movimento della global bass, sonorità che si sono insediate in me e germogliate nel tempo con ricerca e amore.

Lo scorso Dicembre, dopo 6 anni, sono tornata e posso assicurarvi che nonostante gli anni, rimane l’unico posto che considero “casa”. Un legame profondo, intimo e radicato che è difficile da spiegare. Ci sono dei luoghi, anche se non ci siamo nati, che ci appartengono e corrispondono, in cui ci manifestiamo in toto. Tuttora sogno in spagnolo e ammetto che mi viene più naturale parlare lo spagnolo dell’inglese. Inoltre Granada mi ha regalato l’amore per la musica flamenca che nei miei lavori accosto e unisco alle sonorità indiane. Spesso mi confondono per gitana ed effettivamente i gitani discendono proprio dall’India. Dopotutto ognuno di noi nasconde nella propria genetica un crogiolo di culture meravigliose e per questo credo che a volte ci si senta connessi e legati a posti e culture molto lontane da noi.

Rokeya: c’è un motivo per il quale hai scelto questo nome per il tuo progetto artistico? In arabo, ad esempio, “Ruqayya” significa “incantesimo”.

“Rokeya” è il mio secondo nome, nonostante una volta venuta in Italia me lo abbiano trascritto erroneamente in Rebeya.
Rokeya significa “principessa della luce” e, nonostante usarlo mi faccia sembrare un po’ Sailor Moon, lo trovo totalmente corrispondente alla mia espressione artistica. Inoltre, è anche il nome dell’attivista “Rokeya Bengum”, considerata la pioniera del femminismo in Bangladesh, scrittrice di poesie, satire, fantascienza, trattati e saggi. Nei suoi scritti sostiene che sia gli uomini che le donne dovrebbero essere trattati allo stesso modo e che la mancanza di educazione è la ragione principale della discriminazione contro le donne.  Pertanto ha fondato la prima scuola rivolta principalmente alle ragazze musulmane bengalesi a Calcutta. 

La tua musica è nata in fretta, da un’esigenza, e per te è stata come una medicina. Credo che quando c’è un’urgenza, la musica acquisti in sé quella forza di guarigione e di cambiamento, trasmettendola a chi la ascolta. La tua performance è anche un invito a ballare, a rilassare i muscoli e muoversi liberamente trasportat* dai tuoi suoni. Sei tu la medicina per chi è sotto al palco in quel momento?

Credo che la musica sia medicina, basti pensare che in antichità veniva utilizzata come tale, infatti nel mio logo compaiono i due ideogrammi di cinese antico che simboleggiano musica e medicina. Basta variare alcuni segni ed il carattere Medicina diviene Musica. Nella mia performance io stessa divento un tramite per chi ascolta la mia musica.

Trovo che ballare sia un’espressione liberatoria enorme, quasi sacrale, e che troppo spesso ci si senta giudicat* nel lasciarsi andare, quando l’istinto è quello di seguire il ritmo e lasciarsi trasportare. A troppi concerti vedo persone che muovono timidamente il piede dal posto, stando ben lontani dal palco: questa rigidità è solo un’illusione data da erronei retaggi culturali. La musica è un luogo privo di barriere e giudizi, in cui il rapporto tra musicista e pubblico è paritario e diretto; è uno dei pochi luoghi in cui essere davvero liber*, quindi perché privarsene?

Si dice che la bellezza è nella semplicità, ma – aggiungi tu – la si trova anche nella complessità: in un certo modo il senso di meraviglia di fronte a ciò che è naturale, eterno, vitale è il sentimento più semplice del mondo. L’esperienza della vita e della natura ci sembra scontata, ma in realtà racchiude in sé tutta la potenza del mondo. La natura allora è totalità e semplicità allo stesso tempo. Sei d’accordo? Come vivi questo rapporto tra noi e la madre terra?

Sono assolutamente d’accordo, la natura è simultaneamente totalità e semplicità: la semplicità sta proprio nel poterne percepire la sua immensa profondità e potenza. Durante la quarantena la mia unica sofferenza è stata rinunciare ad immergermi nella natura, che per me è essenziale.  Per alcune persone, questo periodo è stata l’occasione per riscoprire questo legame con madre terra, che nella società si perde totalmente. Il lockdown, fulcro di privazioni, ha permesso, una volta tornati ad uscire, di assaporare la natura con occhi diversi.

Ogni cultura antica si è basata su un rapporto sacro e diretto con Pachamama (Madre Terra) che io tuttora reputo attuale e imprescindibile, in quanto siamo figli e figlie di Madre Terra. Siamo noi gli ospiti, nonostante ci comportiamo da invasori alquanto sgradit* e come tali è assolutamente vitale non continuare a distruggere la nostra “casa”. Dovremmo concederci dei momenti per fermarci e semplicemente osservare la natura. Inevitabilmente saremmo colti dalla sua “bellezza” e nell’ascoltarla, capiremmo come essa si riflette in noi.

Sei un’artista donna e suoni spesso da sola nei tuoi set, accompagnata anche dai visual. Ci parli della tua esperienza nell’ambiente musicale in Italia? 

Il mio passato di studi in Belle Arti mi porta a considerare essenziale l’arricchimento della performance musicale attraverso il visual, con il fine di creare un impatto multisensoriale. Uno degli obiettivi è quello di esplorare sempre più livelli sensoriali, per poter regalare un’esperienza più ampia al pubblico.

Per quanto riguarda il mio punto di vista da artista femminile in Italia, devo tristemente ammettere che talvolta vi è una disparità tra musicisti uomini e donne. A volte vi è una sorta di diffidenza anche dagli addetti ai lavori e dai miei colleghi stessi, come se il mio essere donna sottragga professionalità e valenza alla mia musica. La strumentalizzazione della lotta per i diritti delle donne si verifica spesso anche nel mondo della musica. Il punto non è dare spazio alle artiste donne, piuttosto di riconoscerlo. Non credo che questa visione “chiusa” sia la regola: esistono anche luoghi e realtà a cui io stessa ho partecipato, in cui ciò non sussiste ed anzi l’ambiente maschile è di sostegno e stimolo. Questo è incoraggiante e spero che queste realtà si espandano sempre più a macchia d’olio.

Recentemente sei stata in studio al Loop Live Club, nelle Marche, per registrare le ritmiche per il nuovo album. Vuoi salutarci anticipandoci qualcosa su questo prossimo lavoro?

La settimana scorsa, finalmente, abbiamo registrato le prime ritmiche dell’album ed è stato anche un nuovo modo di vivere il Loop, luogo che oltre ad averci suonato, frequento come pubblico ai fantastici concerti che organizza. Il nuovo lavoro, rispetto al primo, sta richiedendo più tempo, necessario per esaltare al massimo i suoi contenuti. Se nel primo sono partita dalle galassie lontane, questo album è strettamente introspettivo e ha come concept il sogno, a volte lucido e a volte in fase rem, guidato da Sherazade. Ricorrono molte sonorità middle-east che si intrecciano a suoni echeggianti. Un lavoro che esalta l’oscurità, che viene man mano illuminata, perché la bellezza sta anche nelle nostre parti più oscure.
Vi lascio con un enorme abbraccio cosmico a voi, a te Ada e a tutto il collettivo di Aware, sperando di incontrarci presto a meno di un metro di distanza.

 

Trovate la musica di Rokeya su Spotify, Bandcamp e Youtube. Per apprezzare i suoi lavori grafici che completano la musica, qui trovate il suo profilo Instagram.

Inoltre se volete viaggiare per il mondo ballando, magari sorseggiando un buon cocktail, qui trovate un po’ delle sue selezioni musicali.

? Rokeya è tra le protagoniste della playlist di Aware “tante belle cose” dedicata alla musica indipendente e resistente italiana ? CLICCA QUI ? per ascoltarla su Spotify!

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.