Combattere per mio fratello

Nella campagna guatemalteca del sud del Petén, l’antica regione Maya, i contadini sono vittime dello strapotere delle multinazionali dell’olio di palma. Guglielmo, cooperante di AMKA attualmente nel paese, ci racconta la storia di resistenza di una tra le comunità più fragili dell’area e il coraggio di battersi per un’esigenza più grande della propria.

Mathias è il leader di una piccola comunità di legno e fango nel mezzo della campagna collinosa del sud del Petén in Guatemala.

Sorriso largo e mani irruvidite da una vita nei campi, passata a lavorare mais e cacao come suo papà e suo nonno prima di lui.

Il gran lavoro tramandato da generazioni ha permesso a Mathias di sopravvivere con dignità alla carestia della guerra civile nella seconda metà del ‘900 e arrivare oggi ad avere a disposizione abbastanza terra da sfamare i suoi otto figli e le rispettive famiglie.

Mathias lavora nei campi dalle cinque di mattina fino al tramonto e all’imprecazione per la fatica quotidiana preferisce il ringraziamento verso Dio e le Divinità Maya – insieme, giusto per non sbagliarsi – per il miracolo della produzione che si ripete ogni anno.

Mathias ha terra di sua proprietà e non ha alcun bisogno di cercare altro lavoro per sopravvivere.

Mathias però è anche il leader della comunità di Santa Elena.

Mathias tra i suoi campi a Santa Elena in Petén, Guatemala.

Santa Elena è un villaggino sperduto al confine con il Messico che campa principalmente grazie ai salari da fame della multinazionale Chiquibul, il feudatario locale che dopo aver comprato il 90% della terra dei contadini del posto l’ha trasformata in una piantagione intensiva e sconfinata di palma africana per produrre olio di palma.

La terra benedetta del basso Petén fornisce tutti i nutrimenti necessari per questa produzione e rappresenta un affare miliardario per l’azienda.

La stessa terra però viene impoverita fino allo stremo da questa piantagione importata da un continente completamente diverso in termini di composizione del suolo. I terreni si inaridiscono e quelli vicini coltivati a mais non danno più frutto come prima.

Non solo; da quando è iniziata la piantagione intensiva di palma africana i bambini di Santa Elena hanno cominciato a soffrire di diarree e gastriti croniche a causa di “uno strano germe che c’è nel fiume“, come lo definiscono i campesinos del luogo

La lavorazione dell’olio di palma è particolarmente complessa e utilizza grandi quantitativi di componenti chimiche.

Per economizzare i costi di scarico gli scarti inquinanti sono spesso sversati nel vicino Rio Salinas, unica fonte di acqua per gli abitanti della zona. Il risultato è un disastro ecologico di portate terribili, simile a quello registrato un paio d’anni prima nel vicino Rio La Pasiòn a causa della gestione degli scarichi della multinazionale della palma REPSA.

I contadini di Santa Elena sono abituati a combattere. Trent’anni di conflitto armato e una storia anti-coloniale mai chiusa ha insegnato a questa gente che esistono limiti all’ingiustizia anche nella barbarie di una terra dimenticata dallo Stato.

Al rifiuto di Chiquibul di accorciare le giornate di lavoro dei raccoglitori di palma da quattordici ore a dieci e di alzare i salari in modo da garantire una vita dignitosa, il villaggio ha occupato la sede di raccoglimento del frutto dell’azienda.

Mathias non lavora nelle piantagioni e non ne ha alcun interesse, Mathias ha la sua terra. Mathias però è anche il leader di quella gente che campa con le briciole lasciate cadere dal tavolo della speculazione agricola della Chiquibul.

Per questo Mathias quando ha visto la cenere di sfinimento negli occhi dei propri compagni, è stato il primo a guidarli nella protesta pacifica. Hanno occupato il fabbricato dove si raccolgono le piccole noci per urlare la propria sacrosanta disperazione.

Immediatamente è arrivata la polizia e ha cominciato a sparare per disperdere la folla armata solo di foglie di palma e sdegno. Ai primi spari i contadini hanno reagito come potevano, lanciando sassi e creando barricate fatte di sedie e carriole, dimostrando così che di fronte alla disperazione anche la morte diventa una eventualità senza grave peso.

Dopo una mattinata di tafferugli la polizia ha arrestato le persone che sono state ritenute più pericolose perché a guida del movimento. Tra loro c’era anche Mathias.

Mathias è stato portato in carcere per resistenza a pubblico ufficiale e, dopo mesi così, è stato costretto a vivere per poco meno di un anno in un municipio diverso da quello di appartenenza, da febbraio a dicembre 2021, lontano dai suoi otto figli e dalla sua amata terra, in un sottoscala messo a disposizione da una famiglia di ex-guerriglieri.

Mathias Pop Asig in un manifesto di protesta contro la sua criminalizzazione realizzato dalla cooperativa petenera La Otra.

Da poco è tornato a Santa Elena.

L’ho incontrato mentre con l’equipe di AMKA visitavamo le comunità per un momento di formazione collettiva in vista della prima distribuzione di piante da frutto nell’ambito del progetto di Sovranità Alimentare.

Con fierezza mi ha mostrato le piante di cacao piantate più di quarant’anni prima insieme al papà e divenute memoria di una eredità ancora viva.

“Mi piace questo posto, qui c’è la mia gente”.

Oggi la Chiquibul ha accettato di accorciare la giornata di lavoro nelle piantagioni a dieci ore e aumentare il salario settimanale del 20%, mentre una inchiesta governativa ha provato i danni ambientali causati dalla palma africana nell’area.

Nel sorriso di Mathias ho trovato l’essenza ancestrale del combattere per una giustizia che non ci riguarda personalmente ma che è nostra in quanto comunità.

“Che differenza fa se a soffrire sono io o mio fratello?”.

Es asì, hermano.

L’ecocidio causato nel 2016 dalla multinazionale palmera REPSA nel Rio La Pasión a pochi chilometri dal Rio Salinas dove si affaccia la comunità di Santa Elena di Mathias.

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.