Diritti LGBTQ+, intersezionalità e Pride oggi: ne parliamo con Nicholas Di Domizio (Arcigay Chieti)

Intersezionalità, il Pride come momento di rivendicazione e visibilità, diritti LGBTQ+: ne parliamo con Nicholas Di Domizio, attivista di Arcigay - Chieti.

I diritti LGBTQ+ nel mondo e in Italia, odio omolesbobitransfobico, l’importanza dell’approccio intersezionale e il valore del Pride oggi: ne abbiamo parlato con Nicholas Di Domizio, attivista di Arcigay – Chieti, ospite lo scorso mercoledì del penultimo appuntamento delle nostre Dirette Resistenti, insieme ad Ilaria Nassa (Contronarrazioni) e Valeria Roberti (Educare alle Differenze). Vi presentiamo qui l’intervista, potete recuperare il video per intero della diretta cliccando qui.

Ciao Nicholas, grazie per essere con noi e portare il tuo contributo in quanto attivista di Arcigay (Chieti). Vorrei cominciare con una domanda generale e introduttiva. Qual è lo “stato di salute” dei diritti delle persone LGBTQ+ oggi nel mondo e in Italia? Abbiamo compiuto sicuramente notevoli passi in avanti, pensando anche al nostro Paese, ma quali sono i nodi critici che restano ancora scoperti e irrisolti?

Fare un’analisi globale di come vadano i diritti LGBTQ+ non è facile, questo è dovuto al fatto che globalmente ci sono realtà diverse. Comparare la realtà europea con quella asiatica, ma potremmo prendere ad esempio diverse realtà, non è una comparazione lineare. Proprio per questo vediamo realtà come gli Stati Uniti dove l’amministrazione Trump ha cancellato la norma contro la discriminazione delle persone transgender nel settore della sanità. Norma che venne introdotta grazie all’Obamacare. Il nuovo provvedimento va ridefinire quindi il genere come condizione biologica immutabile e determinata alla nascita. Ma anche nell’Unione Europea, l’Ungheria in piena emergenza COVID-19 ha spazzato via le tutele delle persone trans. È vero però che possiamo anche festeggiare: basti vedere la realtà svizzera e della Costa Rica dove è stato approvato il matrimonio egualitario. Ma in linea generale vediamo come le persone LGBTQ+ sono ancora oggetto di odio e discriminazione. E l’Italia? Per analizzare la nostra realtà partirei dai dati rilasciati dall’ILGA in occasione del 17 maggio, dove in una scala da 1 a 100, il nostro Paese ottiene un indice del 23%. I criteri usati riguardano il riconoscimento dei diritti civili, la presenza di leggi contro i crimini d’odio, l’educazione nelle scuole, le tutele sanitarie e sociali. Questa percentuale evidenzia le criticità del nostro paese in materia di diritti e tutele: prima fra tutte attualmente spicca l’assenza nella normativa italiana di una legge contro l’omolesbobitransfobia. Gli altri nodi critici che sono presenti sono ad esempio la stepchild adoption, matrimonio egualitario e la reperibilità dei farmaci per le persone transgender.

Sappiamo che negli ultimi anni c’è stata una notevole impennata a livello di visibilità e legittimità politica di tutta una galassia sovranista, nazionalista e fondamentalista che oggi possiamo definire con il termine ALT-RIGHT e che è impegnata a spingere un’agenda politica a livello mondiale che mira a demolire i diritti LGBTQ+ e delle donne e i passi compiuti a riguardo. Qual è la posizione di Arcigay rispetto al contrasto di questa “nuova” destra estrema che si richiama a principi apertamente antifemministi e omobitransfobici e che si presenta in una chiave “ripulita” e “democratica”?

Partirei innanzitutto specificando che Arcigay non è una realtà partitica ma bensì politica, questo perché tutte le nostre attività hanno come base la forza politica del riconoscere tutte le diversità, di dare voce a tutte le minoranze e di distruggere qualsiasi privilegio posseduto solo in virtù di alcune caratteristiche fisiche e/o della propria identità sessuale (pelle bianca, eterosessualità etc..) facendo arrivare il messaggio che la diversità è una ricchezza e non pericolo. Da questo presupposto è evidente quindi, però, che Arcigay non si schiera in alcun modo a favore di questi comportamenti che alimentano il sistema patriarcale e che fanno nascere nelle persone questa caccia a chi mina la l’identità sovranista e nazionale. I sistemi che utilizzano il meccanismo che ho appena esposto hanno ben poco di democratico perché con i loro messaggi non fanno altro che ledere i diritti umani delle persone compromettendone molto spesso il pieno sviluppo della personalità.

Da qualche tempo soprattutto lotta femminista e movimenti LGBTQ+ sembrano aver creato un nuovo connubio positivo e inclusivo nel fronte comune contro sessismo, patriarcato e eteronormatività, anche grazie all’approccio intersezionale che mira a portare avanti prospettive multiple e battaglie condivise al fine di obbiettivi comuni, ovviamente non senza conflittualità e punti critici. Quanto è importante, oggi, l’approccio intersezionale alla questione dei diritti di genere e dei diritti LGBTQ+ in particolare?

È essenziale l’intersezionalità o meglio ancora è essenziale il femminismo intersezionale nelle lotte di riconoscimento dei diritti. Partendo da un concetto della giurisprudenza dove i diritti umani sono indivisibili e interdipendenti, il che significa che i diritti civili e politici ed i diritti economici, sociali e culturali vanno tutti posti sullo stesso piano. La nostra società però non è un piano dove tutti e tutte hanno pari diritti, bensì una piramide alla cui cima siede il prototipo di persona che la società tutela maggiormente e che è quindi subisce meno discriminazioni: l’uomo cisgender etero borghese. L’intersezionalità gioca un ruolo importantissimo nel ribaltare una piramide che è stata costruita sul sangue di donne, persone nere, persone non appartenenti alla borghesie, persone transgender e persone con un orientamento sessuale diverso da quel modello che il patriarcato vedeva come l’ideale. Ridare il giusto spazio alle donne, dare il diritto ai vari orientamenti sessuali di potersi esprimere in libertà, dare alle persone nere il diritto a non esser discriminate o peggio di essere uccise solo per il colore della loro pelle e dare la giusta visibilità alle persone transgender: tutto questo è parte delle lotte del femminismo intersezionale, ed è per questo che spesso infastidisce, perché non richiede dalla società una rassicurazione per le persone che lottano ma chiede un cambiamento.

Finalmente stiamo discutendo di una legge contro l’omobitransfobia, il cui testo sarà a breve depositato in Commissione di Giustizia. Il testo provvisorio ha già generato numerosi dibattiti, non solo da detrattori vari della necessità di questa legge, ma anche all’interno stesso dei movimenti femministi e LGBTQ+. Sempre più urgente si figura all’orizzonte la necessità di provare davvero a fare fronte comune per questo importante traguardo, con la prospettiva di avviare un dibattito salutare e positivo volto ad un miglioramento della stessa in seguito. Quali sono, per voi, i punti salienti e positivi e quali quelli da migliorare nel testo attualmente in discussione?

Secondo noi è presto esprimersi riguardo al disegno di legge che viene portata avanti dal deputato Zan in quanto non è ancora stata depositata la versione definitiva di questo disegno di legge e tantomeno si conoscono i/le suoi/e firmatar*. Sicuramente per noi questa legge è essenziale per tutelare tutta la comunità LGBTQ+, per far scendere i crimini d’odio che si verificano ogni anno e per sancire che violenza non è libertà d’espressione. Nei vari paesi europei è già presente una normativa che tutela le persone dai crimini d’odio ed è stato dimostrato come questa abbia portato ad una cultura dell’accettazione ma ancor più importante il benessere stesso dei e delle cittadin*. Sapere che il mio stato mi tutela mi fa vivere tranquillo, perché so che davanti alla legge siamo effettivamente tutti e tutte uguali. Sapere che l’aggressione che io potrei subire per il mio orientamento sessuale non è una semplice aggressione ma è una aggressione omofoba indicando, quindi, anche il movente per cui ho subito l’aggressione. Non indicare il movente spazzerebbe via una parte della mia identità che mi appartiene che non verrebbe riconosciuta e legittimata ad esistere. Non essendoci una legge che inquadri il reato di omolesbobistransfobia la polizia non può neppure raccogliere i dati correlati a questo crimine. Ecco perché ad oggi i numeri di aggressioni sembrano numeri esigui. I delitti contro omosessuali, lesbiche, bisessuali e transessuali sono una realtà sommersa, molto più vasta purtroppo di quanto si possa rilevare dai dati ufficiali. Per queste ragioni saremo pronti a combattere perché una legge veda la luce e che le persone siano riconosciute anche davanti alla legge come gay, lesbiche, bisessuali, trans, queer e tutte le sfumature dell’identità sessuale.

Cosa risponderesti a chi critica la necessità di questa legge in nome di una presunta preoccupazione per la “dittatura” del “pensiero unico”, argomento abilmente portato avanti per minimizzare l’importanza di una chiara definizione di “violenza omobitransfobica”?

Vorrei rispondergli che la libertà di pensiero è ben tutelata e nessuna persona che è all’interno della comunità LGBTQ+ lotta perché si instauri un pensiero unico e vogliamo anzi ribadire l’importanza dell’articolo 21 della Costituzione italiana che dice: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Ma difficilmente possiamo indicare come libertà di pensiero quella che legittima, ad esempio, picchiare una persona solo per il suo orientamento o identità di genere, difficilmente possiamo identificare come libertà di pensiero commenti come “muori frocio”o “ricchione, ritira la legge o farai una brutta fine”. Ribadiamo il concetto che l’incitamento all’odio non è libertà di pensiero.

Siamo in piena stagione Pride. Quest’anno, purtroppo, a causa dell’emergenza COVID-19 non sarà possibile vivere questo momento collettivo di lotta, festa e rivendicazione nelle piazze e nelle strade. Come poter vivere un Pride alternativo ma comunque significativo e d’impatto?

Io porto la mia realtà di attivista abruzzese e di membro del coordinamento Abruzzo Pride. Il COVID-19 ci ha messo davanti alla necessità di dover rinunciare al Pride come eravamo comunemente abituati a celebrarlo questo però non ha portato ad abbandonare l’ideale politico che questa potente manifestazione ha, ovvero la rivendicazione di tutte le realtà di esistere. Quest’anno ho notato anche come la tematica dell’intersezionalità delle lotte si è fatta sentire a voce ancor più alta perché violare il diritto di una comunità significa violare il diritto di tutte. Noi come comunità LGBTQ+ sappiamo cosa essere più in basso nella piramide dei privilegi ed è per questo che abbiamo stretto alleanze perché quest’anno, anche se non nella forma a cui siamo abituati, nel mese dei Pride abbiamo gridato il nostro diritto di autodeterminarci, di non esser discriminati per il colore della pelle, per la decisione di non portare a termine una gravidanza, per non esser discriminati per la disabilità. Il Pride è orgoglio, rivendicazione, visibilità e memoria, valori che quest’anno non sono venuti meno. Il coordinamento dell’Abruzzo Pride ha riflettuto su questi valori ed è per questo che dal 20 al 27 ha allestito nel circolo Aternino a Pescara degli spazi dove si discuterà dal femminismo intersezionale alla religione, dall’arte queer alla storia del movimento LGBTQ+ italiano, concludendo il 27 con un flashmob. Per vivere un Pride forte e d’impatto basta pensare a quel famoso tacco scagliato contro la polizia il 27 giugno 1969 a Stonewall da Sylvia Rivera e Masha P. Johnson, le madri dei nostri Pride e dei movimenti di rivendicazione.

Quali figure del movimento LGBTQ+ hanno marcato la tua consapevolezza politica e consiglieresti di approfondire per chi, da etero-cis, volesse imparare ad essere alleato/alleata in questa battaglia?

Sono molte le figure che hanno influito nella formulazione della mia consapevolezza politica e non sempre queste erano persone LGBTQ+ e vorrei semplificarle in quattro figure per i valori che queste portano e che caratterizzano fortemente il mio pensiero politico. Mario Mieli, Chimamanda Ngozi Adichie, Franco Grillini e Laura Boldrini. Mario Mieli per il suo rifiuto al conformismo alla rivendicazione all’autodeterminazione non seguendo le linee guide che la società ci impone ma seguendo la nostra stessa natura. Chimamanda Ngozi Adichie per aver consolidato in me la consapevolezza del privilegio che avevo in quanto uomo e che viviamo in una società che vede nella discriminazione la normalità per mantenere gli equilibri. Franco Grillini per esser l’esempio che io perseguo come attivista, la voglia di lottare per il diritto alla felicità di tutt* senza mettere vincoli e condizioni. La voglia di scendere in strada, andare alle varie attività che facciamo con il mio comitato per far in modo che la società cambi, per fare in modo che non ci siano persone disconosciute, che vengono cacciate di casa, bullizzate e/o obbligate a terapie di conversione. Infine, Laura Boldrini che per me rappresenta la democrazia che non usa un lessico povero e una sintassi elementare che limita gli strumenti per il ragionamento critico. Ovviamente queste sono quattro delle persone che hanno influito e stanno influendo sul mio pensiero politco che è in continuo divenire e definirsi.

Immagine in evidenza: Nicholas Di Domizio, attivista Arcigay Chieti.

Per chi si trovasse in Abruzzo, qui in basso vi lasciamo il programma di Arcigay – Chieti per la Pride Week 2020:

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.