Artista poliedrico presente sulla scena alternative italiana da poco più di un paio di decenni, Lorenzo Kruger sarà uno degli headliner del Festival delle Cose Belle – Ferragosto Resistente 2021, la tre giorni di arte, musica, meditazione e vibrazioni positive organizzata dal collettivo Aware – Bellezza Resistente in una location d’eccezione – Bosco Ta-Pù, Passolanciano, CH a 1350 m s.l.m. – per ristabilire il contatto con la natura ed il proprio corpo.
L’ex frontman dei Nobraino, una delle band-culto che hanno segnato la storia del panorama indipendente musicale degli anni ’00, dopo aver intrapreso un percorso solista da ormai quattro anni, e suonato nei più svariati palchi d’Italia, è pronto a voltare pagina, per iniziare un nuovo capitolo della sua carriera da artista.
In autunno, infatti, uscirà il suo nuovo disco, Singolarità, fuori per Woodworm Label. Un album che ha tutte premesse per poter diventare una delle pietre miliari della discografia futura. Ma andiamo per gradi. Ad anticipare l’album è uscito in aprile il primo singolo estratto, Con Me Low-Fi: un calembour in cui Lorenzo ci mostra le sfaccettature più intime della quotidianità, qualcosa di sincero, senza filtri come lo sono soltanto i sentimenti veri. Venerdì scorso si è aggiunto un nuovo frammento che anticipa l’album: Il Calabrone, ballata tardo romantica che parla di mare, ovvietà e dell’antico fascino dell’essere solo (come il calabrone appunto).
Per iniziare a pregustarci un po’ l’aria del festival, noi di Aware – Bellezza Resistente abbiamo fatto quattro chiacchiere con Lorenzo, andando ad approfondire anche opinioni e punti di vista sulla tematica dell’evento “A Corpo Libero“. Tra aneddoti e nuove consapevolezze, ci ha svelato che non vede l’ora di esibirsi sul palco delle cose belle, un luogo “un po’ alla famolo strano” che alletta e intriga.
Ciao! Vuoi raccontarci il concepimento e qualche aneddoto sul tuo ultimo singolo, Con Me Low-Fi?
Allora, il brano l’ho iniziato a scrivere tempo fa, per cui non ho una memoria precisa di quando ho iniziato a lavorarci. Proprio per questo, è un brano che ha un’archeologia complessa, è stato registrato in tre studi diversi.
Diciamo che tutto il disco è un caso un po’ unico, perché ho iniziato a lavorarci in uno studio a Cesena, dove ero con dei musicisti miei amici, ed abbiamo messo giù pianoforte, batteria… Suonato tutto in modo classico, sembrava un pezzo di Elton John anni ’70. Poi con quelle registrazioni l’ho risuonato in un altro studio a Rimini, dove pian piano ho iniziato a smontare il pezzo, perché sebbene mi piacesse molto aveva delle sonorità troppo classiche. Quindi cambia questo, cambia quell’altro, sostituiamo questo suono, cambia il rullante, mettiamo un basso più così… Praticamente sullo stesso brano abbiamo impiantato tutto un restyling. Poi con questa versione qui sono andato in studio a Brescia, dove di nuovo togli questo, metti quell’altro, ricanta questo pezzo ecc.
Praticamente ora non so neanche più che cosa ci sia dentro quelle registrazioni lì, non so chi ha suonato, e non mi era mai capitata una cosa del genere, però probabilmente era un brano che aveva bisogno di un po’ di travaglio per uscire. Il perché non lo so, dato che in realtà è un brano abbastanza lineare, non è un brano scuro, tormentato.
Cosa si nasconde dietro il gioco di parole “con me low-fi/con me lo fai”?
Ma direi che è abbastanza comprensibile. Il nesso è con la low-fi che è una tipologia di musica che forse negli anni ’00 era un po’ più diffusa come genere o come definizione, in cui si allude ad un prodotto grezzo a livello di realizzazione o di rifinitura, che però proprio per questo ha una sua autenticità.
Per cui il fatto di essere in qualche maniera autentici, grezzi, veraci con chi ci sta vicino, porta con sé anche qualcosa di spinoso, difficile fa digerire, che però fa parte di un tutto positivo.
Com’è nata l’idea del video, in cui i protagonisti sono i tuoi bambini? Ed anche l’artwork in copertina è un loro disegno, giusto?
Si è un disegno di Olivia.
L’idea è nata dal fatto che io sono ossessionato dal non-scrivere canzoni d’amore scrivendo canzoni d’amore, cioè una scrittura un po’ laterale, alternativa rispetto alla tipica canzone d’amore, cercando di dare inquadrature particolari.
Il brano in quel senso lo è già, perché da una lettura della convivenza, dello stare vicinə, però non volevo che il brano fosse attribuito ad un amore passionale. Pensavo di rendere protagonistə del video due amici o amiche. Poi mi è venuto in mente che potevano essere due sorelle/fratelli o due gemelli/e. Alla fine di tutto questo percorso mi sono accorto che gli attori ce li avevo sotto il naso, visto che dopo più di un anno di lockdown più o meno alternati avevamo fatto molta esperienza di convivenza da vicino, e soprattutto loro due erano stati insieme un sacco, producendo già materiale abbondante per il video, visto che nel frattempo ci eravamo filmati, avevamo fatto scherzi, balletti e varie.
Per cui ad un certo punto mi sono reso conto che oltre agli attori avevo anche il mio video, dovevo solo continuare a lavorare in quella direzione in maniera un po’ più strutturata, ed avrei portato a casa quello che cercavo.
La tua originale operazione-manifesto “Spazi Miei” permette a coloro che lo desiderassero di lasciare il proprio segno sulle grafiche del disco, ed il ricavato sarà devoluto in borse di studio per una scuola di teatro ed arti sceniche per bambini. Vuoi raccontarci di più sulla nascita di questo progetto? E perché ti sta così a cuore la “Casa di Gesso”?
Il progetto è un divertimento nato penso durante il periodo di clausura, quindi spontaneamente si immaginava qualcosa che fosse promiscuo, che fosse un mischiarsi, quindi c’era un po’ quel desiderio di sottofondo, aggiunto ad una mia naturale predisposizione a non prendere sul serio i dischi, per cui già coi Nobraino mi inventavo titoli un po’ provocatori.
L’ultima esperienza in quel senso fu dare a un disco un numero di telefono come titolo, per cui ho continuato con quell’attitudine lì, cercando di far diventare il disco un’ulteriore modalità di comunicazione, utilizzando lo spazio di titolo e copertina come pretesto per dire altro. Per cui “Spazi Miei” è stata concepita con questi presupposti, ed è venuta fuori l’idea di prendere tutta la grafica del disco quindi la copertina e tutto lo spazio che c’era, dividerlo in quadratini creando una griglia 2 cm x 2 cm sul CD e il doppio circa sull’LP, e metterli in vendita un po’ come spazi pubblicitari.
Io vengo da Riccione, un posto turistico, e quando ero piccolino fino ad una certa età ho vissuto vicino ad un albergo. Lì andavano quelli che vendevano la pubblicità dei giornali, potevi comprare una serie di spazietti sui vari Novella 2000, Oggi, Gente… Che vendevano proprio dei quadratini minuscoli dove dentro ci dovevi far stare la foto dell’albergo, le foto delle camere e il testo descrittivo. Erano forse più piccoli degli spazi che abbiamo messo in vendita sul disco, per cui c’era anche questo genere di nostalgia dietro.
Quindi tutto è confluito verso questa operazione, dove le persone che hanno comprato questi spazi hanno pubblicato foto del cane, o foto di vendita auto, gente che vendeva degli stivali oppure faceva dichiarazioni d’amore o di odio, o insulti anche verso il sottoscritto… Insomma, è arrivato di tutto e l’operazione è andata a buon fine.
“Casa di Gesso” è questa scuola di teatro per bambini e ci sono legato perché Olivia la frequenta, per cui ho avuto modo di conoscerla prima di tutto da utente. Mi interessava il fatto che ai bambini venga insegnato a dar corda alle storie che hanno dentro di loro, e si insegna loro in qualche modo ad ambientarle, ad argomentarle, a rappresentarle.
In più, durante la pandemia mi ero accorto di quanto la noia fosse un problema per i bambini, quanto facciano fatica a gestire il vuoto d’azione e di informazione, per cui bisognava aiutarli a non annoiarsi… Per questo una scuola che prevede di formare il bambino in quel senso sicuramente è una cosa che va aiutata.
Quando e come hai capito di voler intraprendere una carriera solista? E come hai vissuto il distacco con la band?
Diciamo che già “carriera solista” è una definizione che non mi piace, perché io sono un tifoso delle band, però a quanto pare non ci sono altri termini o locuzioni.
Però sì, probabilmente l’ultimo disco dei Nobraino era già un disco “mio” perché l’avevo arrangiato tutto, avevo poi imposto tutta una serie di scelte artistiche… Forse lì mi sono accorto che mi stavo imponendo troppo e quindi non aveva senso stare in un gruppo se doveva essere poi semplicemente il riflesso di quello che pensavo io. Vent’anni è un percorso un po’ lungo, però il lutto l’ho elaborato in questi ultimi quattro anni: sono uscito dalla band nel 2017, ho “espiato” quattro anni di colpe e adesso sono pulito come un bambino e posso riaffacciarmi alla vita discografica.
Hai spesso affermato che il bisogno di fare live per te è viscerale, anche perché le tue performance sono un misto fra musica, teatro ed intrattenimento. Come hai vissuto quindi quest’ultimo periodo di stasi forzata?
Ovviamente non bene, ma innanzitutto sono riuscito a suonare comunque abbastanza, nel senso che l’estate scorsa ho suonato da luglio ad ottobre, invece durante l’inverno ho lavorato all’uscita del disco. Poi in primavera sono ripartito a suonare e adesso – se non cambia nulla – dovrei riuscire ad andare avanti fino all’autunno, per cui devo dire che sono fra quelli che non si lamenta più di tanto. Fortunatamente sono riuscito ad incastrare sia l’attività nel periodo in cui di attività se ne riusciva a fare poca, e sia mettere a frutto la pausa forzata.
Quali sono le tue aspettative riguardo il tuo live al Festival delle Cose Belle? Ti era già capitato di suonare in una location nei boschi ad alta quota?
Nei boschi ci ho suonato una volta ma non mi ricordo precisamente dov’era. Inizio ad aver accumulato un numero di live eccessivo forse, per cui ogni live è sempre un’esperienza completamente nuova.
Devo dire che l’idea di suonare al Festival delle Cose Belle mi alletta molto, per cui facendo così tanti concerti sono sempre alla ricerca di una situazione un po’ “famolo strano”, e questa ha tutta l’aria di essere una di quelle occasioni.
Nella società odierna si millantano di continuo questi corpi perfetti, ma noi di Aware – Bellezza Resistente, con la tematica del festival “A Corpo Libero” abbiamo voluto sottolineare proprio il contrario: una celebrazione di tutti i corpi, indistintamente. Come ti poni a riguardo? In che modo secondo te si potrebbe cambiare la percezione distorta che abbiamo riguardo la ricerca continua della perfezione dei corpi? (Vedi esempio Norvegia dove è stato inserito l’obbligo di segnalare se delle foto vengono ritoccate).
Devo dire che in merito ho dei sentimenti contrastanti, nel senso che da un lato c’è tutto un sistema di valori e di posizioni sbagliate, che sono molto nocive. Ad esempio, mi sembra di vedere ragazzini e ragazzine che sono in qualche maniera un po’ fuorviatə dai modelli proposti.
Dall’altra parte avrei però il mito greco di “mente sana in corpo sano”, per cui riuscire a seguire alimentazione e vita che restituiscano un corpo che risponda, che sia pronto e capace.
Per cui non mi sento nemmeno di avvallare il discorso contrario. Sarei per una lettura equilibrata di questo tema.
Sono stato recentemente in una località X, dove in spiaggia sembrava di essere alla fiera della trippa e del cotechino, e la gente mangiava costarelle e bomboloni, i bambini a 8 anni già completamente in sovrappeso, sballati. Ora, va bene che uno non debba guardare la tartaruga allo specchio sul proprio addome, ma che non si abbia neanche minimamente una cultura della sana alimentazione, un minimo di moto necessario quotidiano, non mi sembra giusto neanche quello.
Ovviamente è da favorire un clima di rispetto e di dialogo dove ognuno si senta a suo agio con sé stessə. Questo ovviamente è fuori da ogni dubbio.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo nuovo album, Singolarità? Che significato attribuisci al titolo?
Il disco è un album di cantautorato moderno-elegante. Ho cercato di mettere insieme un suono che avesse a che fare con i tempi che stiamo ascoltando, ma al tempo stesso che abbia una vocazione classica. Avendo avuto un certo percorso, una certa esperienza, una storia, non volevo assolutamente svendere tutto così per acchiappare chissà quale accondiscendenza. Per cui spero che si vada a collocare in una galleria di classici piuttosto che entrare in qualche tendenza.
Singolarità è un titolo che è venuto dopo aver finito il disco, dopo essermi accorto che uno dei brani aveva più energia degli altri, per diventare un brano che si carica sopra il disco. La parola è un termine che ultimamente è molto importante, sentito. La singolarità è il centro dei misteri, è una fine, è un inizio, è un momento personale dove collasso e rinasco.
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