Razzismo, questione aperta anche in Italia: intervista ad Antonella Bundu

Il razzismo è una questione che riguarda anche il nostro Paese. Ne parliamo con Antonella Bundu, attivista e consigliera comunale a Firenze.

Presentiamo con piacere la nostra intervista ad Antonella Bundu, attivista e consigliera comunale di Firenze, ospite questa sera della nostra nuova Diretta Resistente, in cui discuteremo di Black Lives Matter, razzismo e inclusione. Insieme a lei anche Don Massimo Biancalani, John Malpiza (The Peace Walking Man) e Aida Aicha Bodian, autrice de Le Parole dell’Umanità.

Consigliera Bundu, stiamo attraversando un periodo sociale e culturale senza precedenti. Al risveglio da un lock-down che sembra aver inasprito le distanze sociali a livello globale, assistiamo all’ennesimo atto di violenza razziale negli USA. L’assassinio di George Floyd ha svelato la realtà di una piaga sociale e culturale, quella del razzismo, mai rimarginata, non solo nel Paese a stelle e strisce. Che società vede oggi in Italia in termini di diritti e inclusione? Quanto il tema della discriminazione sulla base della mera apparenza etno-somatica appartiene ancora al nostro Paese?

Anche qui in Italia dobbiamo prendere atto che la questione del razzismo è purtroppo viva e il non-bianco, anche se italiano (vedi il mio caso), subisce una discriminazione, a volte anche inconscia, perché siamo abituati a sentirci dire che “gli italiani non sono razzisti”, anche da chi negli ultimi anni ha promosso delle leggi discriminatorie e ha usato “l’immigrato brutto, sporco e cattivo” come capro espiatorio.

Pochi giorni fa ha denunciato tramite il suo account Facebook l’ennesimo esempio di un tipo di razzismo “culturale”: un cassiere al supermercato che dimostra due toni di comunicazione diversi sulla base del colore della pelle di chi ha di fronte. Quanto è necessario abbattere esempi simili di discriminazione culturale per evitare episodi di cruda violenza come quello di Minneapolis? Che nesso vede tra queste due forme di razzismo?

In Italia sperimentiamo questa forma di infantilizzazione dell’ “immigrato”. Metto la parola fra virgolette perché vengono considerati così anche gli italiani nati in Italia. Come nel mio caso: nata in Italia da madre italiana e dunque cittadina italiana dalla nascita, subisco lo stesso questa forma di discriminazione che a volte può sfuggire ad alcuni, come nel caso che riporta, dove il cassiere si rivolgeva agli altri e alle altre clienti con il Lei, entrando invece automaticamente in modalità Tu rivolgendosi a me (da notare che non ho alcun problema a interloquire in un modo non formale, vedo da quando ho scritto quel post che molti dei miei “amici” su FB mi danno del Lei, ma questo non era il punto). Ritornando alla domanda, la protesta che è nata negli Stati Uniti denuncia quella cultura che vede la persona nera come una minaccia, un criminale… prima di George Floyd ce ne sono stati diversi di episodi di persone nere uccise, non solo da poliziotti, semplicemente perché correvano nel parco, perché avevano un cappuccio, perché dormivano a casa loro ma la poliziotta bianca entrata nel loro appartamento ha visto un uomo nero e lo ha ucciso. Queste storie non indicano solo la police brutality, ma il fatto che se a compiere quegli stessi atti fossero state delle persone bianche, l’esito sarebbe stato diverso. E questa non è una supposizione, sono i fatti. Le rivolte negli Stati Uniti e le proteste in tutto il mondo sono per richiedere una equità sociale che non sia basata sul colore della pelle. E non parlo nemmeno di provenienza, perché anche lì i neri, gli afro-americani, sono americani a tutti gli effetti da generazioni. Penso sia necessaria una rivoluzione culturale anche qui da noi, affinché non scatti in automatico il pensare di avere davanti un essere meno capace di te quando ci si relaziona con un non-bianco. Ce ne sono diversi di esempi anche qua, penso a Soumalia Sacko, il sindacalista ucciso il 2 giugno del 2018. Se andate a vedere come viene descritto da molti giornali, leggerete che era una persona «in regola con i documenti»… che significa questo? Che se fosse stato irregolare sarebbe cambiato qualcosa? Si parla del ragazzo ucciso sul ponte a Firenze – anche qui un signore di quasi 60 anni. Si parla di “immigrato” anche di chi è qui da decenni, di chi ha la cittadinanza italiana…

A suo avviso, cosa manca a livello sociale e culturale per un cambio radicale nella percezione generale verso la questione del razzismo, soprattutto nel nostro Paese?

Ci vorrebbe una rivoluzione a partire dal linguaggio, a partire dalle istituzioni. È inaccettabile che ci siano ancora i cosiddetti Decreti Sicurezza, che criminalizzano e spingono nella illegalità quelle persone non italiane che si trovano sul territorio. Questo fa sì che anche il cittadino medio possa pensare che sia corretto equiparare chi è senza un documento ad un criminale – quel “clandestino” buttato là, come se uno fosse un ladro o un assassino. Quelle leggi che tutto fanno fuorché governare un fenomeno come l’immigrazione che esiste e che ha bisogno di risposte. Togliere a una persona uno status di protezione umanitaria significa solo che, una volta uscita dall’accoglienza, quella persona per sopravvivere farà il possibile, ad esempio lavorerà in nero, senza poter contribuire alla società. È inaccettabile che non ci sia la stessa possibilità per ogni essere umano di spostarsi in cerca di condizioni migliori. Far finta che centinaia di migliaia di persone non esistano non fa bene a loro ma soprattutto non fa bene al Paese intero.

Qual è il ruolo della politica nel processo di inclusione etnica e sociale? Oggi, quali sono gli ostacoli maggiori affinché a livello nazionale e locale le forze di partito riescano ad essere finalmente decise nella promulgazione di normative dirette ad una reale inclusione (vd. ius soli, lotta al caporalato…)?

Come dicevo prima sarebbero innanzitutto da abrogare i Decreti Sicurezza, la Bossi-Fini e i patti di Minniti con la Libia, rinegoziare il Trattato di Dublino. Mettersi a studiare una sanatoria vera o una possibilità per le persone irregolari presenti sul territorio di avere almeno 12 mesi di tempo per spostarsi e cercare un lavoro, che non sia loro preclusa la possibilità di offrire manodopera o ingegno in qualsiasi settore. La lotta al caporalato è sacrosanta, ma non è una regolarizzazione delle centinaia di migliaia di persone senza documenti regolari.

Che significa essere di sinistra nella battaglia alla discriminazione etnica e al razzismo?

Per me la Sinistra significa giustizia e uguaglianza. La Sinistra dà voce anche a chi non ce l’ha. La Sinistra parla anche per gli ultimi, e spesso gli ultimi sono quelli discriminati su base etnica. Penso dunque che mettere in atto quei principi significhi semplicemente abbattere quegli ostacoli che non permettono a tutte e tutti di partire dalla stessa linea di partenza e di avere le stesse opportunità.

Crede che esista un filo conduttore che unisce la lotta alla discriminazione sulla base del colore della pelle e quella di genere? Nella sua esperienza che percezione ha avuto dei due temi?

Penso che sia una lotta da combattere insieme, ma non penso che spesso sia vista così. Nello stesso modo in cui vediamo una differenza di rappresentanza di genere nelle posizioni lavorative più ambite, una differenza nel salario, vediamo che in quella percentuale minima, la parte occupata dai non-bianchi è ancora più esigua.

Questa sera sarà ospite della Diretta Resistente di Aware insieme a John Mpaliza, soprannominato The Peace Walking Man. Anche lei si definisce «pellegrina camminatrice». Parteciperebbe ad una delle camminate della pace di John? Come giudica questo tipo di attivismo?

Parteciperei volentieri, sì. Trovo il cammino un modo spirituale per scaricare la tensione e riappacificarsi con la natura. Con una mia amica avevamo pensato a un progetto simile che si chiama Beyond Borders – il principio è quello di abbattere metaforicamente le frontiere, camminando fra l’Italia, la Francia e la Spagna.

Le ultime manifestazioni di lotta alla discriminazione dei movimenti Black Lives Matter sono state caratterizzate da momenti di estrema violenza, tanto tra i manifestanti quanto tra le forze dell’ordine. Ora negli USA si sta pensando di riconvertire gran parte dei fondi destinati alla polizia nella spesa pubblica per sanità e scuole. Crede che metodi non-violenti di attivismo come quello portato avanti da John Mpaliza siano ugualmente efficaci in termini di traguardi e conquiste sociali?

Premetto che sono una persona nonviolenta ma non penso assolutamente di poter paragonare eventuali reati contro la persona con danni alle cose materiali. Sono assolutamente a favore della riconversione dei fondi dai mezzi di guerriglia in dotazione alla polizia americana, a un sistema che riesca a dare pari opportunità in materia di educazione scolastica e sanitaria, cosa che lascia molto a desiderare (per usare un eufemismo), e che fa entrare in una spirale di inferiorità generazioni intere. Per rimanere negli Stati Uniti, penso che il reverendo pacifista Martin Luther King sia stato un grande ispiratore di folle e di diritti civili, ma penso che lo sia stato anche il rivoluzionario Malcolm X, e preferisco quest’ultimo.

Questa sera con lei sarà ospite della nostra diretta anche Don Biancalani, parroco di Vicofaro e fondatore di una centro di accoglienza che ospita centinaia di migranti in difficoltà. In una recente intervista al nostro giornale Don Biancalani ha sottolineato che il sistema dell’accoglienza in Italia è al collasso. A suo avviso, quali sono i provvedimenti più urgenti a livello nazionale per promuovere un sistema dell’accoglienza che funzioni e sia rispettoso dei diritti di tutt*?

Sicuramente il sistema di accoglienza basato su numeri piccoli, per riuscire a fare non semplice assistenzialismo, ma programmi mirati di inclusione sociale, per far sì che la persona accolta possa riuscire nel miglior modo e nel più breve tempo possibile a essere indipendente, costruirsi una vita e contribuire alla crescita della società.

Continuerà il suo impegno politico oltre il mandato come consigliera comunale di Firenze? Come?

Sono consigliera comunale da 1 anno. Ne riparliamo fra 4 anni (sempre se sopravvivo).

Appuntamento questa sera, ore 21, sulla nostra pagina Facebook Aware Bellezza Resistente per continuare a dialogare con Antonella Bundu e tutti i nostri ospiti sull’importanza della lotta al razzismo anche e soprattutto nel nostro Paese. Vi aspettiamo!

https://www.facebook.com/AwareBellezzaResistente/photos/a.2337689616476282/2650740111837896/?type=3&theater

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.