Emigranti e richiedenti asilo: che fare?

Partendo da una visione teologica, Raffaello si domanda se è possibile rifondare la comunità che viviamo su un sentimento diffuso di condivisione.

– di Raffaello Zini

 

Alcune riflessioni sul problema e i suoi possibili sviluppi.

 

Il sonno della politica, come quello della ragione,  che caratterizza il clima del nostro Paese da ormai qualche anno, sta generando dei mostri.

Le parole di Papa Francesco in occasione del settimo anniversario dalla visita a Lampedusa possono diventare occasione per riflettere sulle prospettive ed i possibili sviluppi della coesistenza,  in Italia,  fra nativi e stranieri ma non possiamo non notare come sia estremamente problematico sforzarci, in virtù di motivazioni cristiane, di creare un rapporto fra italiani e stranieri senza  prendere in sufficiente considerazione le situazioni ed i rapporti economici in tutta la loro durezza.

Premesso che, ovviamente, la Chiesa non può interpretare la possibile convivenza comunitaria se non alla luce  delle concezioni teologiche ricavate sulle base dei criteri biblici di fraternità e di partecipazione, il problema da porre sin da subito è quello che investe, più generalmente, il rapporto fra queste stesse concezioni ed il sistema economico che abbiamo sviluppato e nel quale siamo totalmente calati. Fraternità e partecipazione devono diventare ciò che determina qualitativamente, nella sua struttura, l’avvenire comune al quale siamo destinati.

Il criterio fondamentale della fraternità, che definisce una dimensione essenziale del vivere comune, non può essere indicato se non nel “lasciare gli altri prendere parte a ciò che siamo, che abbiamo, che facciamo”. Trasferendo questo principio dal piano immediato e personale a quello indiretto delle istituzioni, significa affermare che le strutture sociali del potere, del diritto e delle funzioni,  non potranno mai essere conformi alle esigenze dell’uomo se non si orientano verso la possibilità di rendere possibile a tutti di partecipare al potere, intervenendo concretamente nello stabilire il diritto a prendere parte alle funzioni che questo potere e questo diritto realizzano, strutturano, concretizzano ed impedendo l’instaurazione di privilegi unilaterali.

La struttura e la qualità dell’avvenire comune degli italiani e degli stranieri, migranti o rifugiati poco importa, possono essere riassunte nel concetto di condivisione”. Potremo infatti chiamare comune, nel senso pieno del termine, solo un avvenire che garantisca a tutti d’aver parte, per quanto ciò sarà possibile, ai beni ed ai valori disponibili; per esempio condivisione della libertà, dei diritti democratici, della crescita economica, del benessere, dell’istruzione, del diritto alla salute, dell’istruzione, dell’alloggio, della cultura, eccetera.

L’accettazione di una visione come questa, teologicamente fondata, impone ai credenti di prendere in mano il controllo della politica ponendo al centro del dibattito non solo l’immediata assistenza, indispensabile ma certo non sufficiente, ma anche e soprattutto una nuova riflessione sulla questione critica che ci siamo posti: in che misura è possibile parlare, nella realtà presente ma anche quella ipotizzabile per il futuro, di una società basata sulla condivisione? Quali le strategie socio-politiche che possono aiutarci ad incamminarci verso questo scopo, verso la concreta realizzazione di una società di condivisione?

Le difficoltà, anche economiche, che dopo la  recente pandemia stiamo iniziando ad intravvedere rendono più che mai urgente riflettere sul problema del nostro avvenire comune inserendolo in un contesto più vasto: il nostro sistema ha forse raggiunto in diversi campi i limiti massimi che può supportare? E se così fosse davvero pensiamo che vi sia altro futuro possibile se non un futuro di condivisione?

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.