Greta Thunberg e gli adesivi che invitano allo stupro: quando cultura anti-green e machismo si danno la mano

Una compagnia petrolifera produce adesivi che ritraggono Greta Thunberg violentata. Non è una svista o una goliardata finita male, ma il prodotto di una cultura che fonda i suoi valori sull’annichilimento, sull’espropriazione e sullo sfruttamento di corpi, identità, risorse.

 
Da quando è diventata simbolo della lotta al cambiamento climatico, Greta Thunberg è stata travolta da insulti, infantilizzata, ridicolizzata e sminuita. Su di lei si sono scatenate le orde di haters online – dai complottisti più sfegatati ai negazionisti del riscaldamento globale, passando per sovranisti o esperti dell’ultima ora, fino ad arrivare addirittura a Presidenti e Capi di Stato. La figura di Greta, dall’indubbia iconicità e dal forte impatto mediatico, ha catalizzato in poco tempo su di sé l’ira di una fetta ampia e trasversale di persone, espressa il più delle volte senza filtri, altre solo mitigata dall’insopportabile velo del paternalismo.

E oggi l’ennesimo episodio che raggiunge forse un nuovo livello di brutalità, restituendoci l’esatta dimensione di cosa significhi, spesso, essere una donna impegnata a portare avanti delle battaglie in una società misogina e maschilista, in cui cultura dello stupro e istigazione alla violenza sessuale appaiono come la banale normalità. Succede così che la X-Site Energy Services, una compagnia petrolifera canadese, stampa degli adesivi in cui viene raffigurato un corpo femminile girato di spalle: dietro due mani afferrano le treccine, mentre sulla schiena campeggia il nome “Greta” e in basso il logo della compagnia stessa. Siamo certo abituati alla pubblicità sessista, in cui il corpo della donna viene depersonalizzato, oggettificato o animalizzato, diventa pezzo di arredo o di carne alla mercé di mani e occhi maschili. Qui però siamo oltre, perché quel riferimento diretto ed esplicito a Greta (minorenne, per giunta) rende la “trovata” un vero e proprio invito allo stupro.

Dopo aver inizialmente negato qualsiasi coinvolgimento della X-Site Energy Services con la produzione del materiale, il suo general manager Doug Sparrow avrebbe in poi tentato di giustificare il gesto affermando che ormai  Greta “non è più una bambina“, peggiorando di gran lunga la situazione. Infine le scuse della compagnia, che si riferisce però all’accaduto come ad una “leggerezza“: una goliardata pensata e finita male, in fondo. Un tentativo goffo di fare ironia, come se evocare uno stupro per promuovere la propria attività possa in qualche modo far ridere, tutto sommato.

Sappiamo che di leggerezza non si tratta, perché questo genere di narrazioni e rappresentazioni riempiono ossessivamente la nostra quotidianità e il nostro immaginario. Di campagne pubblicitarie che usano l’estetica dello stupro abbondiamo e  il messaggio veicolato è sempre lo stesso: il corpo della donna come merce eternamente disponibile, senza voce né agency; la normalizzazione della violenza sessuale; le fantasie di stupro riportate in “salsa glamour”. Perciò no, questa non è certo una svista, ma la banale e mirata conseguenza di tutta una cultura che si respira ovunque, dalla televisione ai giornali, dai social network ai cartelloni pubblicitari,  dai discorsi agli angoli del bar alle cattedre universitarie: una cultura che tende a giustificare la violenza sessuale e a usarla puntualmente come strumento di cancellazione, sopraffazione e ricollocazione della donna nel posto che le spetta.

Perché questo è il punto. Il messaggio veicolato dalla compagnia petrolifera è, in fondo, rimettiamola al suo posto. Lei ci provoca con le sue stronzate ambientaliste e i suoi discorsi di piazza e noi ecco, le ricordiamo dove dovrebbe stare, in quanto donna. L’uso dello stupro come punizione, vendetta e correttivo: questo è il livello. Misoginia, sessismo e machismo si danno la mano e in questo reciproco farsi spalla individuano il nemico da silenziare, anzi la nemica. D’altronde, nelle narrazioni dominanti, esiste uno stretto collegamento tra cultura anti-green e immaginario machista, come se l’ambientalismo appartenga in qualche modo ad una dimensione “effeminata” e assolutamente poco virile. Ed è in queste “vignette” pubblicitarie che questo nodo viene al pettine e si mostra in tutta la sua ferocia.  Se vogliamo ragionare per immaginari e narrazioni veicolate, ce ne viene in mente allora un’altra: negli stickers è la compagnia stessa ad autorappresentarsi come soggetto che stupra, in una sovrapposizione tra corpo della donna e, se vogliamo,“corpo” del Pianeta. La brutalità di tutto un sistema che sfrutta, domina e sottomette trova in questo episodio la sua perfetta esemplificazione.

A dimostrazione di come occorre, ora più che mai, intrecciare lotte solo apparentemente distanti tra loro e che invece hanno come comune obbiettivo quello di abbattere tutta una cultura e un sistema di valori fondati sulla violenza e sull’idea di potere e potenza come sottomissione, annichilimento, espropriazione e sfruttamento di corpi, identità, risorse.

Non perderti nemmeno una briciola di bellezza resistente.