Perché la narrativa del “lupo solitario” rinforza il suprematismo bianco

La narrativa del "lupo solitario" sgancia la violenza razzista dal problema del suprematismo bianco, deresponsabilizzando chi la agisce.

L’ennesima sparatoria negli Stati Uniti, questa volta ad Atlanta, ai danni della comunità POC ha riaperto il dibattito sul pericolo del suprematismo bianco e sui doppi standard dell’informazione. In particolare, quando il killer è un uomo bianco, si attiva una narrazione tossica volta ad umanizzare l’omicida, riconducendo la sua violenza a problemi di natura mentale e singole decisioni. La cornice narrativa del “lupo solitario” sgancia questi episodi dal riconoscimento di una cultura alla base che coltiva e giustifica la violenza razziale. Traduciamo per voi un articolo da Anti Racism Daily, che trovate allegato in originale in fondo.

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La sera del 15 Marzo 2021 un uomo armato ha aperto il fuoco e ucciso otto persone, ferendone altre, in un centro massaggi nell’area di Atlanta. Sei delle vittime sono donne di origine asiatica. Quattro di queste erano coreane. I nomi delle vittime sono: Soon Chung Park (74), Hyun Jung Grant (51), Suncha Kim (69), Yong Yue (63), Delaina Ashley Yaun (33), Xiaojie Tan (49), Daoyou Feng (44) e Paul Andre Michels (54). Ciascuna di queste persone oggi dovrebbe essere qui e ci raccogliamo attorno alla loro perdita.

Questo ha rappresentato solo l’ultimo episodio di un’impennata di casi di violenza contro la comunità asiatica negli ultimi mesi. Secondo l’ultimo report di Stop AAPI Hate, che ha misurato l’aumento dei crimini d’odio contro le persone di origine asiatica da Marzo 2020, le donne ne sono le principali vittime, denunciando episodi d’odio 2.3 volte di più, mentre il 35% di tutte le violenze occorse si sono verificate nei luoghi lavorativi. L’ultimo attentato risulta ancora più drammatico perché ha colpito persone immigrate e presenta alla base anche una radice sessista, il che lo rende non solo un attacco a sfondo razziale, ma anche radicato nella misoginia e nella feticizzazione razziale (delle donne asiatiche).

Il 21enne Robert Aaron Long è stato arrestato e accusato di omicidio. Da qui è cominciata la solita narrazione tossica e deresponsabilizzante da parte della stampa. Tutti i giornali hanno riportato le dichiarazioni degli amici del killer, attribuendogli gli appellativi di «secchione» e raccontando come provenisse da «una buona famiglia cristiana» e fosse un ragazzo «dall’apparenza innocua, che non diceva nemmeno parolacce» (Newsweek). L’Atlanta Journal-Constitution ha riferito poi che Long soffrirebbe di una «dipendenza dal sesso», conducendo altri media a riportare che alla base dell’atto compiuto potrebbero sussistere problemi di salute mentale. Alcuni poliziotti hanno dichiarato «Long ha vissuto una giornata molto difficile, e questo è quello che ha fatto», e che «non c’è stata alcuna indicazione da parte sua che l’atto fosse motivato da un odio di natura razziale».

Sparatoria di Atlanta - manifestazione di solidarietà della comunità asiatica
La comunità asiatica statunitense manifesta dopo l’attacco terroristico ad Atlanta. Credits: Jason Szenes/EPA

Questa retorica è problematica per numerose ragioni. Ponendo il focus sulla sua fede religiosa, sul background da “nerd” sfigato e sulla mancanza di volgarità, la stampa e le forze dell’ordine stanno dando il messaggio implicito che il killer è allineato con le caratteristiche chiave della “bianchezza” e, di conseguenza, impermeabile al male. Questa narrativa è stata usata di frequente per giustificare atti violenti commessi da uomini bianchi, spesso contro le donne e le persone di colore [traduzione letterale di POC*]. Ciò mira a rafforzare l’idea che la fede cristiana, un linguaggio appropriato e il curriculum accademico assicurino potere e privilegio, e chi non si allinea con questi “marcatori” è inferiore nella società.

Non solo, porta a focalizzare il discorso sull'”innocenza” del violento piuttosto che sull”innocenza delle vittime. Questo conduce ad una minimizzazione ulteriore del dolore di cui le comunità marginalizzate fanno esperienza e occupa uno spazio che potrebbe invece essere usato per raccontare le loro storie. Questa narrazione contribuisce inoltre a rinforzare lo stigma sulla salute mentale presente nelle nostre società, insinuando che gli individui che convivono con questo tipo di problematiche siano un pericolo per la comunità. Bisogna sempre ricordarlo: il razzismo e la misoginia non c’entrano niente con la malattia mentale. Questo stigma non solo colpisce ciascunx di noi ad un livello individuale, scoraggiando le persone dal chiedere aiuto o dal condividere le loro esperienze con amici e famiglia, ma crea anche una narrativa sistematica in cui la questione della salute mentale diventa un affare di sicurezza pubblica da controllare e su cui vigilare, rinforzando così il ruolo del sistema di giustizia penale nell’ambito della salute e del benessere, invece che dei servizi sociali che offrono un supporto di natura riabilitativa e preventiva.

Ma soprattutto, questa retorica rinforza quella che possiamo definire “narrazione del lupo solitario”, ovvero che questo certo individuo abbia agito da solo per ragioni personali e non fosse motivato da una narrazione più ampia. Questa cornice narrativa tenta di distaccare questo specifico caso dal ruolo più ampio che il suprematismo bianco gioca negli episodi di violenza e terrorismo negli Stati Uniti. Come risultato, non si punta a chiedere un’assunzione di responsabilità per il sistema che ha nutrito e rinforzato quest’odio in una società in cui la supremazia bianca è lo standard. Sebbene l’individuo è da ritenersi chiaramente responsabile delle sue azioni, così dovrebbe esserlo anche un governo che ha promosso discriminazione e pregiudizi contro la comunità asiatica fin dall’inizio, dal Chinese Exclusion Act all’imperialismo nel continente Asiatico e nella zona Pacifica, fino ad arrivare ad un (ex) presidente (Donald Trump) che ha ripetutamente definito il Coronavirus “Kung Fu” e “Virus Asiatico”.

Stop Asian Hate - manifestazione negli USA
Durante l’anno della pandemia, la violenza contro la comunità asiatica è aumentata sensibilmente. #StopAsianHate
Credits: Getty Images

Tutto questo non è nuovo – questa è la stessa narrazione a cui abbiamo assistito dopo i casi di terrorismo riconducibili al suprematismo bianco nel corso della nostra storia. In un articolo della scorsa estate, abbiamo sottolineato come velocemente la retorica utilizzata cambia per proteggere i terroristi bianchi “nostrani”. Dylann Roof, un estremista di destra che ha sparato a nove persone nere in una chiesa nel Sud Carolina e che idolatrava la Confederazione, è stato ritratto dai media come «malato mentale» e «frainteso» (Al Jazeera). Kyle Rittenhouse, un teenager bianco che ha ucciso due persone durante le proteste a Kenosha l’anno scorso, è stato definito «eroe» e «innocente», un «ragazzo vittima di bullismo» che è diventato un grande fan della polizia (Huffington Post). Non deve quindi sorprendere che, nel 2020, alcuni report hanno mostrato come il suprematismo bianco abbia rappresentato da sempre la minaccia terroristica domestica più grave negli USA (The Guardian).

E i primi giorni del 2021 hanno portato tutto questo nuovamente sotto la nostra attenzione, quando centinaia di questi “lupi solitari” si sono uniti per tentare una insurrezione violenta a Capitol Hill. Un nuovo report ha dimostrato che, se le istituzioni locali e federali avessero preso sul serio la minaccia del suprematismo bianco, questi non avrebbero potuto in alcun modo assaltare la sede governativa. Elizabeth Neumann, assistente alla segreteria per la prevenzione delle minacce presso il Dipartimento della Sicurezza interna, che ha lasciato l’anno scorso, ha dichiarato che «i Proud Boys sono solo quei tipici ragazzi che bevono un po’ troppo dopo la partita di football e finiscono per fare a botte nei pub, persone che non sono mai sembrate così organizzate da rappresentare una vera e propria minaccia per la sicurezza nazionale». La narrazione del “Lupo solitario” ha protetto questi estremisti violenti e ha permesso loro di nuocere su scala nazionale.

È importante inoltre notare come questa narrativa deresponsabilizzante è riservata esclusivamente alle persone bianche. Uno studio ha dimostrato come gli attacchi terroristici eseguiti da persone che si identificano come musulmane ricevono un’attenzione maggiore dalla stampa pari al +357% (The Guardian). E la cornice narrativa si differenzia, anche. Alcuni ricercatori hanno analizzato la copertura di notizie delle sparatorie di massa avvenute a Las Vegas nel 2017 e ad Orlando nel 2016. L’attacco di Orlando, eseguito da un individuo che si identificava come musulmano, aveva ricevuto una copertura maggiore nonostante le vittime fossero nettamente inferiori rispetto a Las Vegas. In aggiunta, la maggior parte dei giornali ha definito l’attacco ad Orlando un caso di “terrorismo”. In contrasto, la gran parte degli articoli sulla sparatoria a Las Vegas tentavano di umanizzare Stephen Paddock, l’uomo bianco esecutore della strage.

Suprematismo bianco USA - attacco a Capitol Hill
Le immagini ormai famose dell’attacco a Capitol Hill condotto da suprematisti bianchi e supporters di Donald Trump.

Nell’ultimo attacco terroristico avvenuto martedì notte, un solo uomo ha premuto il grilletto, ma il suprematismo bianco non agisce da solo. Quel killer è stato incoraggiato e supportato da una cultura suprematista bianca che normalizza la violenza contro le comunità POC (people of color) e consente di portarla a termine. Abbiamo bisogno di responsabilizzare non solo gli individui ma tutta la nostra società nei confronti di questa violenza – inclusx noi stessx, e il ruolo che abbiamo nella perpetuazione della supremazia bianca.

[Immagine in evidenza: Manifestazione Black Lives Matter a New York. Credits: Ron Adar / Sipa via AP Images]

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Articolo originale: Stop the lone wolf narrative [Anti Racism Daily] / traduzione di Desirèe Memme

Post IG: @antiracismdaily

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